Perché la cannabis medica a volte non funziona

Soft Secrets
08 Jan 2018

Sulle proprietà della cannabis ci sono tante speculazioni e pochi studi mirati. Spesso si dice che la cannabis medica non funziona. Ma perché?


   di Franco Casalone Perché i medici, per paure legate a preconcetti proibizionisti, spesso prescrivono quantità ridicole; più spesso si rifiutano di prescriverla per mancanza di senso di responsabilità, rimandando il paziente dai loro colleghi… Perché i pazienti spesso non conoscono la cannabis, e, per gli stessi preconcetti, ne hanno paura ed un rifiuto psicologico che ne blocca gli effetti (o ne blocca il riconoscimento da parte del paziente)… Perché le varietà disponibili legalmente sono poche, di effetto limitato, e più spesso non ci sono e ci vuole troppo tempo per ottenerle…. Perché, sempre per paure e preconcetti, la legislazione prevede di usare prima altri farmaci, e se questi non funzionano, si può provare la cannabis. Ma spesso è troppo tardi, e c’è stato un peggioramento irreversibile… Perché la procedura di estrazione consigliata a medici e farmacisti del concentrato dalla sostanza grezza è inefficiente: si presume un’estrazione in olio extravergine di oliva, ma l’olio di oliva non è molto affine ai cannabinoidi, l’efficacia dell’estrazione dipende da troppi fattori, la concentrazione ottenibile è troppo bassa. Tant’è che gli estratti così realizzati hanno differenze di anche di dieci volte più o meno concentrazione di cannabinoidi… (le estrazioni con solventi derivati dal petrolio sono tossiche, non importa la quantità di residui; quelle a CO2 sono da purificare prima di usarle perché’ ricche di sostanze indesiderate. Le migliori estrazioni x uso terapeutico rimangono quelle in alcol etilico: facili da eseguire, facili da analizzare, da dosare e da fare assumere) Perché il primo modo di assunzione consigliato ai pazienti (tisana di cannabis bollita in acqua) è assurdo: i cannabinoidi non sono solubili in acqua. La loro concentrazione nella tisana dipende soprattutto dalla turbolenza dell’acqua in ebollizione, che, per effetto meccanico, stacca qualche pallina di resina. La loro assunzione è assolutamente imprevedibile: essendo insolubili in acqua, rimangono in sospensione nell’acqua di bollitura, e tendono ad appiccicarsi alle pareti del contenitore… Perché non si conoscono le dosi necessarie di ogni cannabinoide affinché facciano effetto per quella determinata malattia, e si va a tentativi… Perché per ogni diverso paziente, in diversi momenti, c’è bisogno di un mix particolare di cannabinoidi, che può essere diverso anche per lo stesso paziente. E qui, tocchiamo un tasto che alla maggioranza dei medici da fastidio: il riconoscere che ognuno è il miglior medico di se stesso, e che compito del medico è informare, consigliare collaborando con il paziente, se necessario provare le terapie, con il consenso informato del paziente e il diritto di quest’ultimo di intervenire nella gestione della sua propria salute. Un’ulteriore considerazione. Finora i cannabinoidi studiati sono due: THC e CBD. Nella cannabis ci sono più di cento cannabinoidi conosciuti, più di centoventi terpeni e decine di flavonoidi. Abbiamo visto che un fitocomplesso è quasi sempre più efficace (e con meno effetti collaterali) dei cannabinoidi singoli. Studiare gli effetti delle sinergie fra centinaia di sostanze è molto difficile, ma usare varietà con fitocomplessi ricchi (non con solo uno o due cannabinoidi e uno o due terpeni, come sono la maggior parte delle varietà selezionate per questo o quel cannabinoide) non è impossibile, anzi: tutte le landraces (popolazioni) hanno una ricchezza di espressione che le renderebbe adatte allo scopo. Non piante singole ma popolazioni che esprimono individui diversi. Riconoscibili da altre popolazioni, con diversi profili di sostanze, e che messi assieme riescono ad avere la maggior quantità di diversi cannabinoidi, terpeni, e altre sostanze, così da coprire una gamma di effetti che vanno a bilanciare le varie risposte dell’organismo di chi le assume. Gli studi ad oggi confermati hanno individuato in tutto 18 endocannabinoidi e 32 fitocannabinoidi, di cui è conosciuta una qualche azione terapeutica. Considerando il fatto che i recettori si attivano soltanto con una certa dose di cannabinoidi e considerato che per ogni problema di salute c’è bisogno di quantità diverse, spesso le quantità necessarie da somministrare ai pazienti sono più elevate di quanto si pensi. Visto quanto sia complicato prescrivere ad ognuno la propria varietà e dose, penso che compito del medico sia indirizzare il paziente verso varietà più ricche di THC oppure più ricche di CBD, provare assieme al paziente quella più adatta al problema, e rimanere aperti alla possibilità di usare, anche per lo stesso paziente, diverse varietà, magari in diversi momenti della giornata.

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