Marijuana egiziana

Soft Secrets
28 Mar 2013

L'immaginario occidentale associa da quasi mille anni l'omicidio politico e la lussuria all'uso dell'hashish nel mondo musulmano.


Ma che c'è di vero in quella visione tramandataci fin dai tempi di Napoleone riguardo all'Egitto e ai movimenti della primavera araba?

Paolo Gonzaga: Sicuramente nella storia dei popoli arabi e islamici la diffusione della cannabis é stato un fenomeno di massa sin dall'antichità. Essenzialmente, benché la pseudo-"letteratura" salafita lo neghi dogmaticamente, i popoli musulmani vedendosi impediti dall'uso e produzione di alcoolici a causa dei dogmi della religione islamica, invece di vedere l'alcool affermarsi come sostanza di socialità e socializzazione, vide la cannabis, la cui proibizione non era scritta da nessuna parte. Tra i primi oggetti ritrovati dei primi pellegrini verso la Mecca risaltano numerosi narghilé che si esclude fossero usati per il tabacco.

Ma le cronache storiche stesse ce lo raccontano, anche attraverso le opposizioni all'uso così diffuso della cannabis: il capostipite degli integralisti salafiti, Ibn Taymiyya (1263-1328) vedeva nella cannabis l'albero di Zaqqum che dall'islam più integralista viene descritto come un albero dell'inferno riservato ai condannati costretti a bere il succo delle sue capsule a forma di testa di Satana, che poi si trasforma in fuoco nelle pance di questi "peccatori".

Non che la religione islamica sia così, i sufi ad esempio avevano la visione contraria. I sufi sono definiti i "mistici" dell'islam, ma dobbiamo considerare anche che l'islam più popolare, che prevale nella società egiziana é quello sufi, anche se meno rumoroso, ed i sufi hanno sempre visto con favore la cannabis, perlomeno una buona parte di loro. I sufi tendono a leggere il Corano non in modo letterale ma metaforico, e storicamente vivevano in eremi e aree isolate. Spesso la cannabis era per loro uno dei pochi svaghi oppure uno strumento di concentrazione e ulteriore percezione di avvicinamento a Dio. Ci sono state tariqa, confraternite sufi, che sono arrivate ad "adorare" la cannabis, come quella famosa di Haydar, spesso riportata in vari testi.

Ma per trovare i consumatori di oggi bisogna uscire dal campo del religioso, infatti purtroppo a livello religioso, all'interno di società che stanno vivendo un passaggio alla post-modernità che le sta stravolgendo e che vivono il fenomeno del ritorno forte dell'integralismo islamico, i condizionamenti in questo senso si fanno sentire, soprattutto in termini legislativi, dove i dittatori arabi (Mubarak per primo) – in ossequio al padrone Usa e spesso anche cercando di creare consenso soddisfacendo le richieste dei gruppi dell'islam politico – hanno creato un apparato proibizionista tanto repressivo quanto arbitrario per cui un povero, rischia degli anni di prigione anche per una canna, un ricco, chi conosce qualcuno e/o può pagare, risolve invece in breve la faccenda.

Infatti a livello legislativo le pene sono assolutamente sproporzionate, quasi ridicole se non fossero così drammatiche, in paesi dove tutti consumano cannabis le galere sono letteralmente piene di consumatori, sempre poveri, a volte con condanne di oltre un decennio di carcere per pochi "pacchetti" di erba, o un paio di grammi d'hashish. Ovunque nel mondo arabo, ci sono anche stranieri condannati per varie sventure e coincidenze che possono accadere: oltre ad essere stati arrestati, non hanno avuto la fortuna di avere una rete consolare pronta, oppure non hanno avuto la possibilità di mettersi in contatto prima, ma non sono riusciti a fermare l'ingranaggio burocratico prima che partisse e ne sono rimasti schiacciati dentro. I nuovi governi arabi nei paesi come la Tunisia e l'Egitto non hanno certo avuto invece ancora il modo certo di riflettere sulla questione, c'è da scommettere che non ci saranno miglioramenti legislativi a breve dato che le forze che hanno assunto il potere, i vari Fratelli Musulmani, sono portatori di visioni assai conservatrici, e che si battono per l'applicazione della shariah islamica.

Ma come tutto in Medio-Oriente e Nord Africa, ed in Egitto che ne é il paradigma accade più che mai, le contraddizioni fanno parte della realtà. In paesi come l'Egitto la costituzione materiale é sempre stata molto più forte e prevalente rispetto a quella formale (benché al momento in Egitto non ci sia nemmeno una Costituzione formale). E in realtà come il Cairo, con circa 24 milioni di abitanti – ma non si sa con esattezza perché le autorità non sono mai riuscite a capirlo – o Alessandria, altra metropoli, nemmeno un controllo poliziesco capillare come quello messo su da Mubarak poteva fermare una tale radicata abitudine.

Gli egiziani sono sempre stati dei grandi "cannabisti" in realtà, il presidente Sadat era amatissimo da molti, non per le sue virtù politiche, che alle masse in realtà rimasero più che sconosciute, ma per il suo fumare la pipa con l'hashish in continuazione. AI tempi di Sadat ci fu anche il periodo descritto da tutti gli anziani egiziani, come il periodo migliore per i consumatori di cannabis. Girava molto hashish nella sua era, d'altronde Sadat aveva fatto soprattutto la politica "di apertura" agli investimenti stranieri, dopo il regime simil-socialista nasseriano, e la nuova classe imprenditoriale che si andava creando era spesso legata ai futuwwa di quartiere, piccoli ras delle zone popolari, una sorta di mafia che si imponeva a colpi di forza nelle aree popolari e che tendeva ad esercitare anche la "giustizia" in zone dove questa non arrivava e che sempre di più si legava a politici in ascesa, business-men improvvisati, avventurieri, che nell'"apertura di Sadat vedevano l'occasione della loro vita. In quegli anni le importazioni illegali -ovviamente- di hashish libanese subirono un'impennata.

La politica del governo egiziano, ad eccezione di qualche "raid" spettacolare ai danni di vittime prescelte, rimase tale anche dopo la morte di Sadat, con Mubarak che lo sostituì. Fino ai primi anni '90 al Cairo era possibile acquistare hashish (e oppio) per la strada, in una zona molto famosa e su cui si fece più di un film di grande successo, Al Bataniyya (L' "interna" o anche la "coperta" in dialetto egiziano) dove, come nei vicoli di Napoli, c'erano le signore che con bilancini e tavolini vendevano i loro psicotropi prodotti, e nei casi di retata poliziesca un collaudato sistema di sentinelle le avviava dell'arrivo della Polizia così che i ma'allimin così venivano chiamati i capi della futuwwa , girassero i tavoli e spostassero tutto. Fino alla fine degli anni '80, quindi ancora i consumatori egiziani godevano di un clima di tolleranza.

I grossi problemi arrivarono quando Mubarak firmò agli inizi degli anni '90 i piani di aggiustamento strutturale con il FMI, gli Usa, e la grande finanza internazionale, che decisero di far diventare l'Egitto un vero e proprio laboratorio del neo-liberismo. Aggiungo solo che in breve tempo Mubarak riuscì a privatizzare tutto ciò che era rimasto di statale in Egitto, qualcosa come oltre 300 compagnie statali, mentre eseguiva totalmente gli ordini in arrivo da Washington. Purtroppo le "war on drugs", le muscolari quanto dannose "guerre alla droga" di impronta reaganiana ebbero un effetto immediato e sempre peggiorativo della situazione. Quello che accadde di importante in questi anni fu che a causa della dura repressione nel trasporto di hashish, i prezzi aumentarono notevolmente, inducendo gli egiziani a riscoprire la marijuana che producono da sempre i beduini del Sinai.

 

Il Sinai essendo zona "a sovranità limitata" per via degli accordi di Camp David, e che vede crescere quel turismo di massa fino ad allora sconosciuto, con nuove esigenze da soddisfare, diventa il granaio dei "cannabisti" egiziani. Infatti oltre ad alcune "cittadine liberate", come Dahab e altri piccoli insediamenti sopra Sharm el Sheykh, (oggi ovviamente i controlli sono molto maggiori, anche se Dahab mantiene la sua impronta freak e libertaria) esistono soprattutto alcune oasi-coltivazioni dove nessuno osa avventurarsi, conoscendo anche l'abitudine al fucile dei beduini e le loro abilità guerriere unite ad una conoscenza perfetta del territorio. E se ancora non hanno imparato a fare l'hashish, quello presente infatti é tornato ad arrivare dal Libano e dal solito Marocco, gli egiziani si sono però abituati a fumare nuovamente la marijuana che il comandante in capo di Napoleone Jacques-François Menou aveva così duramente condannato.

Ma tornando alla contemporaneità, gli effetti delle politiche neoliberiste e dell'autoritarismo portarono alla rottura rivoluzionaria del 25 Gennaio 2011, che non é una sorpresa, ma il frutto di una controcultura che ha preso vita in Egitto diffondendosi a macchia d'olio: dai primi movimenti heavy metal e la dura repressione subita con l'accusa di "adorazione di Satana" in cui l'elemento del consumo di sostanze ebbe un grosso effetto, cannabis e lsd, arrivando ai primi rave parties, dove la cannabis e le altre sostanze chimiche vedono una diffusione da zona liberata, passando per i quartieri popolari dove il bango, la marijuana egiziana, é fumato in ogni dove, spesso in caffetterie che mettono a disposizione narghilé o ghorza (sorta di pipa ad acqua con cui si fuma esclusivamente cannabis) e le cariche da fumare, e dove la tradizione si fonde con la modernità, dove anziani e giovani si ritrovano a fumare insieme. Ma soprattutto la rivoluzione del 25 Gennaio 2011 ha portato un cambiamento tale di mentalità che la cannabis ora é finalmente diventata una sostanza normale, usata in prevalenza senz'altro da alcune particolari fasce della popolazione (giovani, intellettuali, artisti, ambienti vicini al turismo o agli stranieri).

SSIT: L' Egitto per molti anni pareva essere la principale, se non unica, officina di produzione culturale del mondo arabo. È ancora così? E che dire delle forme di aggregazione politiche e culturali dei giovani egiziani di oggi? Di movimenti come il rap ed altre espressioni musicali in cui la cannabis pare essere un elemento essenziale?

Paolo Gonzaga: Senz'altro anche in Egitto é arrivato prepotentemente il movimento rap che fa della cannabis uno dei suoi simboli. Il rap é arrivato anche nel modo di vestire e si confà perfettamente con la natura egiziana e le abitudini di questo popolo amante della poesia, che ritma in metrica qualsiasi discorso trasformandolo spontaneamente in una sorta di rap poetico. Come dicevo si sta diffondendo quindi il consumo giovanile, i ragazzi e le ragazze egiziane stanno cominciando anche ad avere coscienza di cosa é la cannabis che per troppi anni é stata consumata in modo molto superficiale, senza una vera conoscenza della pianta, persa nella memoria degli anziani.

Moltissimi giovani addirittura non avevano idea non solo delle proprietà mediche della pianta, ma quando consumavano il bango, la marijuana locale, pensavano di avere a che fare con una pianta simile alla marijuana, ma differente e senza la minima cognizione della storia della pianta della cannabis e dei suoi mille usi. Giovani incapaci di immaginare una società dove la cannabis non fosse proibita, complice anche la martellante propaganda religiosa, che seguendo l'agenda governativa, per anni é andata avanti criminalizzando la pianta della canapa. Ma le decine di controculture che stano nascendo e affermandosi nel fervore rivoluzionario e creatore che si vive in particolare al Cairo, la maggiore possibilità di viaggi per tutti e quindi la contaminazione dei costumi, come hanno portato la musica rap e prima il reggae, hanno contribuito a diffondere una nuova consapevolezza rispetto alla gestione delle sostanze nella quotidianità tra momenti di socializzazione, di divertimento e di impegno sociale-politico.

Se posso permettermi un'ultima digressione devo dire che mi colpisce come manchino strutture per i consumatori da sostanze pesanti, non esiste il concetto di riduzione del danno, e i farmaci sostitutivi non sanno nemmeno cosa siano, con una filosofia basata su astinenza e preghiere. La situazione delle carceri é disumana, un metro quadro a testa e celle da 80 persone. La situazione è certamente meritevole di una forte denuncia e iniziativa diplomatica.

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