Fuori agenda: la scomparsa della cannabis dalla politica italiana
Fuori agenda: la scomparsa della cannabis dalla politica italiana
Lo scorso 4 marzo l’Italia è stata chiamata alle urne per eleggere il suo nuovo governo. Al momento in cui scriviamo, i risultati non sono ancora ufficiali. Al momento in cui leggete, probabilmente avrà vinto qualcuno che non avrebbe dovuto essere eletto: la lista è lunga e aperta ad interpretazioni. Non potendo entrare nel merito di quanto deciso dagli aventi diritto al voto – o da una minima parte di essi, visto il trend in picchiata dell’affluenza –, per analizzare lo stato della cannabis nello scenario politico italiano, tocca ripiegare sui programmi elettorali dei partiti che si sono candidati a formare la XVIII legislatura.
Considerando non tanto i risultati ma quanto meno gli sforzi profusi negli ultimi 3 anni, ci si sarebbe aspettato che la questione cannabis fosse menzionata almeno nei programmi dei principali partiti del centro sinistra, se ancora “di sinistra” essi si possono definire. Ma del tema caro ad una fetta sempre più ampia di italiani, non vi è neppure un accenno. Non una riga nel programma del Partito Democratico, nemmeno in quello della stessa Beatrice Lorenzin, di cui l’attuale legge sulla cannabis medica porta (paradossalmente) il nome. Liberi e Uguali pareva abbozzare ma ha probabilmente dovuto soccombere al giustizialismo dell’ex magistrato Grasso, dal momento che nel programma non ci è possibile rintracciare nemmeno un paragrafo relativo alla regolamentazione del mercato della cannabis, punto toccato più volte anche dagli alti vertici della magistratura.
Centro ed estrema destra, coalizzati sotto la salma di Berlusconi, ovviamente non sono stati pervenuti. E anche il Movimento 5 Stelle, inizialmente un entusiasta della legalizzazione, ha glissato sul tema, concentrandosi nel programma su tematiche come immigrazione, legalità e tutela della famiglia. E sicuramente rubando voti alla coalizione Berlusconi-Salvini-Meloni, data la svolta ultra populista di quanto rimasto degli iniziali meet up.
L’unico partito a fare esplicita menzione della cannabis è stato, come prevedibile, quello di Emma Bonino, listata sotto il nuovo simbolo di +Europa ed inserita nella coalizione di centro sinistra. In particolare, il movimento aveva annunciato di voler “autorizzare l’auto-coltivazione fino a 5 piante, una regolamentazione della produzione e della vendita con regole precise, con chiare indicazioni sul livello di THC e con un efficiente sistema di sanzion”», riprendendo le ultime proposte approdate in Parlamento; ma anche che “la cannabis terapeutica sia garantita alle persone che soffrono di determinare patologie, e che vi sia un monitoraggio da parte del Ministero della Salute”. Le proiezioni più generose davano +Europa al 3%, immaginiamo che il risultato delle urne non sia stato di molto migliore.
Di cannabis pare dunque non si voglia più parlare nella XVIII legislatura. La nostra amata pianta è tornata ad essere un tabù, o quanto meno un convitato di pietra a Montecitorio. Nonostante sia ancora un imperativo sottrarre profitti alle mafie e alla criminalità collegata alla produzione e allo spaccio. Nonostante sia necessario liberare la ricerca scientifica applicata allo sviluppo di nuove terapie per decine di malattie e nonostante la domanda di cannabis medica in Italia stia letteralmente lievitando. Nonostante si debba ridurre in tempi brevi il sovraffollamento delle carceri, perché quasi il 30% del totale della popolazione carceraria è ancora dentro per reati minori collegati al possesso o allo spaccio di stupefacenti. Nonostante tutto questo, la politica pare nuovamente preferire l’inerzia: rimanendo cieca di fronte ai dati più che positivi di una possibile legalizzazione, tacendo le sue responsabilità sociali e giuridiche nella continua stigmatizzazione dei consumatori, turandosi il naso di fronte agli enormi profitti sottratti alle casse dello Stato dalle lobbies criminali che, ancora una volta, ringraziano.
Lo sappiamo bene che la cannabis non può salvare l’Italia, speravamo però che, arrivati al 2018, di cannabis almeno si potesse continuare a discutere ad un livello istituzionale.
di Giovanna Dark
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Soft Secrets