Fare i conti con la realtà
In questo paese la propaganda sulla guerra alla droga è talmente costante, prepotente ed invasiva che molte volte sento il dovere di contrapporle un'analisi schietta e basata su dati di realtà. L'intervista a Giorgio Bignami, presidente del Forum Droghe, ha proprio questo fine: porre un contraltare autorevole alle sperequazioni ed ai pregiudizi che i Giovanardi Boys spargono in ogni occasione pubblica, fare chiarezza e restituire per dovere intellettuale al pubblico di Soft Secrets qualche sano strumento contro le falsità sulla marijuana.
In questo paese la propaganda sulla guerra alla droga è talmente costante, prepotente ed invasiva che molte volte sento il dovere di contrapporle un'analisi schietta e basata su dati di realtà. L'intervista a Giorgio Bignami, presidente del Forum Droghe, ha proprio questo fine: porre un contraltare autorevole alle sperequazioni ed ai pregiudizi che i Govanardi Boys spargono in ogni occasione pubblica, fare chiarezza e restituire per dovere intellettuale al pubblico di Soft Secrets qualche sano strumento contro le falsità sulla marijuana.
In questo paese la propaganda sulla guerra alla droga è talmente costante, prepotente ed invasiva che molte volte sento il dovere di contrapporle un'analisi schietta e basata su dati di realtà. L'intervista a Giorgio Bignami, presidente del Forum Droghe, ha proprio questo fine: porre un contraltare autorevole alle sperequazioni ed ai pregiudizi che i Govanardi Boys spargono in ogni occasione pubblica, fare chiarezza e restituire per dovere intellettuale al pubblico di Soft Secrets qualche sano strumento contro le falsità sulla marijuana.
E ora la parola al presidente.
SSIT: Qual'è il compito del Forum Droghe?
Forum droghe è un'associazione nazionale, fondata nel 1995, che si batte per la riforma delle politiche pubbliche sulle droghe a partire da una nuova rappresentazione sociale del fenomeno droga e della figura dei consumatori. L'obiettivo è di limitare l'approccio penale sul tema a favore di un approccio sociale di “normalizzazione„ dei consumatori di droghe, al fine di favorirne l'integrazione sociale. Lo strumento principale di iniziativa culturale di Forum droghe è la rubrica settimanale sul quotidiano Il Manifesto, che si collega all'informazione molto più ampia diffusa attraverso il sito www.fuoriluogo.it (attraverso il quale ci si può iscrivere alla newsletter gratuita con uscita settimanale). Tale informazione è specializzata sui temi delle droghe, del carcere, della marginalità, con notevole attenzione anche per quanto avviene all'estero e al livello delle organizzazioni internazionali, in particolare quelle che fanno capo alle Nazioni Unite.
Può fornirci di dati sul consumo di cannabis in Italia?
Su questo argomento, come si è visto nell'accesa discussione sulla relazione 2010 di Giovanardi al Parlamento, tot capita tot sententiae. Secondo detta relazione, la frequenza del consumo “almeno una volta nella vita„ sarebbe miracolosamente calata tra il 2008 e il 2009 da oltre il 30% a poco più del 20%: cosa matematicamente impossibile, a meno di una strage improvvisa e selettiva dei consumatori. Per vantare l'efficacia delle politiche governative, la relazione sminuisce gli effetti di confusione prodotti dal cambiamento dei metodi di rilevamento. Sempre secondo la relazione, l'uso negli ultimi 12 mesi sarebbe calato addirittura dal 15% al 4% nella popolazione generale e dal 24% al 19% nella popolazione studentesca.
Mi conferma che numerose commissioni di studio hanno evidenziato che i rischi per la salute nel consumo di cannabis sono inferiori a quelli prodotti da alcool e tabacco?
Questo è stato dimostrato dalle analisi più affidabili talmente tante volte che abbiamo perso il conto. L'ultima recentissima analisi è quella del gruppo di esperti britannici guidata dal noto professor David Nutt i quali hanno fatto uno sforzo per separare la pericolosità individuale e quella sociale delle varie droghe, concludendo di nuovo che la somma delle due è maggiore (anche se non di molto) per il tabacco che non per la cannabis. Quindi, diventa sempre più ovvio che la liceità del tabacco e l'illegalità della cannabis seguitano a convivere come il diavolo e l'acqua santa.
Fra gli esempi internazionali, quale a suo parere sarebbe più adatto da applicare in Italia come percorso di depenalizzazione e legalizzazione della cannabis?
Nessun paese ha potuto sinora, a causa delle nefaste Convenzioni internazionali a partire da quella di Vienna del 1961, procedere a una vera e propria depenalizzazione o legalizzazione della cannabis. A pelle di leopardo (vedi per esempio le differenze tra i diversi stati negli USA) si sono trovati modi per liberalizzare i consumi terapeutici, per alleggerire le sanzioni nei riguardi dei consumatori non spacciatori, per “chiudere un occhio„ sui comportamenti considerati meno pericolosi (soprattutto nei paesi nei quali l'azione penale non è obbligatoria ma discrezionale), sino a esperienze come quella olandese, dove mentre i coffee shop possono vendere sino a determinati quantitativi delle varie preparazioni, i gestori devono per lo più ricorrere al mercato illecito per rifornirsi. In una tale situazione, qui da noi, si dovrebbe consentire un uso meno restrittivo della cannabis a scopi terapeutici, abolire le assurdità scientifiche come quella della Tabella Unica dell'attuale legge e infine pervenire ad una tolleranza più di fatto che di diritto per tutta la vastissima area del consumo non problematico (il che non indebolirebbe di molto, tuttavia, le organizzazioni criminali, che si vedrebbero sottratta solo una quota limitata di mercato attraverso la depenalizzazione della coltivazione in proprio di un numero limitato di piante di cannabis).
Che validità scientifica ha l'attuale criminalizzazione della tossicodipendenza prodotta dalla cannabis sulla base di ricerche condotte sui ratti?
La ricerca sugli animali, sia essa di tipo comportamentale o di carattere neurobiogico, può essere utile per il suo valore conoscitivo anche indipendentemente dalle ricadute pratiche: ad esempio, per conoscere meglio il modo di funzionare dei sistemi di regolazione neurocomportamentale che rispondono all'esposizione a sostanze psicoattive e il meccanismo d'azione di queste sostanze sia dal punto di vista della produzione degli effetti edonici che da quello del rischio tossicologico. Il problema corrente è che spesso l'enfasi su tale approccio a danno di altri serve da un lato a privilegiare i modelli farmacocentrici, dall'altro a ingabbiare nell'una o nell'altra varietà di modello di malattia ogni modalità di consumo di sostanze. Ciò serve a proiettare un cono d'ombra su di una moltitudine di elementi di primaria importanza che fanno parte del cosiddetto setting, il contesto nel quale si avvia il consumo e poi si modula la sua tipologia, e a modificare negativamente la soggettività del consumatore, il quale introietta la convinzione fatalistica di essere un malato.
Che conseguenze crea il non distinguere le droghe fra leggere e pesanti, come fa la Fini-Giovanardi?
Non c'è bisogno di invocare il Beccaria per spiegare come sia assurdo, forse sarebbe meglio dire criminale, assoggettare allo stesso sistema di regole e di penalità droghe di pericolosità molto diversa. Secondo la già citata analisi di Nutt, e restringendo il discorso alle droghe illecite per non complicare eccessivamente la questione, l'ordine di pericolosità va da eroina e crack, a quota un po' superiore a 50 secondo la loro scala di punteggio, ai funghi a quota 6, passando per metamfetamina (33), amfetamina (23), cannabis (20), ketamina (15), giù giù sino all'ecstasy (9) e all'LSD (7). Di fatto una gerarchia che mette a nudo gli arbitri delle Convenzioni internazionali e di buona parte delle legislazione nazionali, tra le quali quella italiana brilla per il suo estremismo repressivo e punitivo, checché ne dicano i discorsi pseudoumanitari dei suoi sostenitori.
La diffusione trasversale del consumo di cannabis può far paura alle aziende che vendono psicofarmaci? Può esistere, a livello politico, un approccio lobbystico nella politica sulle droghe?
Da sempre c'è questo timore, da sempre c'è un lobbying frenetico in tutte le sedi internazionali e nazionali. Già durante i lavori per la Convenzione di Vienna del 1961 ai delegati venivano offerte vistose ricompense per indurli a sostenere sia la tesi della scarsa pericolosità dei nuovi ipnotico-sedativi e tranquillanti che allora erano ancora in fase di lancio (soprattutto benzodiazepine), sia la tesi dell'alta pericolosità non solo delle droghe “dure„, ma anche della cannabis.
Che significa istigazione all'uso nel contesto antiproibizionista nostrano?
E' la classica dizione ambigua che consente caso per caso di applicare il massimo della discrezionalità, in modo da aggravare il carico di pena o viceversa di alleggerirlo, in funzione dello status del soggetto il quale sta davanti al poliziotto che lo ha incastrato o al magistrato che lo deve giudicare. Così chi in società con un amico ha comprato qualche spinello e poi viene colto in flagrante mentre “istiga„ l'altro a prendere la parte che gli spetta, se è un povero borgataro, magari con qualche piccolo precedente penale, può beccarsi una bella stangata. E se invece ... ma non è il caso di mettersi a fare esempi che potrebbero essere troppo facilmente identificati con casi della “high society„ recenti e meno recenti.