Cannabis terapeutica in Italia: i numeri di un fallimento

Marco Ribechi
19 Jul 2021

Mentre il progetto governativo affidato all'esercito si è rivelato un concreto fallimento, in Italia è sempre più forte la necessità di aumentare la produzione di cannabis terapeutica. A fronte di una spesa esorbitante i risultati sono molto carenti e, mentre le autorità restano a guardare, i pazienti manifestano, esausti, in attesa di potersi curare, vittime di una burocrazia schizofrenica e di una logica imprevedibile che di fatto sembra boicottare ogni accesso a questo rimedio fondamentale. Ne parliamo con il nostro Fabrizio Dentini, direttore di Soft Secrets Italia e creatore del sito di approfondimento canapamedica.it


SSIT: 15.800 euro al chilo è il prezzo della cannabis terapeutica prodotta dal Governo. 5,2 milioni di euro d’investimento hanno fruttato 329.095 kg. Cosa indicano queste cifre esorbitanti? 

Per essere precisi 15.800 euro è il costo unitario per chilo prodotto basandosi su un calcolo speculativo ottenuto dividendo i finanziamenti ottenuti dal 2017 al 2020, compreso, per i chili di cannabis prodotti nello stesso periodo di tempo. In un calcolo più corretto si sarebbe dovuto tener conto dei costi d’investimento iniziale ed i relativi ammortamenti, dei salari degli addetti ai lavori, delle spese correnti e del materiale di consumo. Detto ciò, resta il fatto che, in quattro anni, i chili prodotti sono stati 329 e questi numeri, per i militari che si prefiggevano di arrivare a soddisfare il fabbisogno nazionale italiano, sono davvero sbalorditivi. Se vogliamo entrare nel merito della produzione annuale possiamo aggiungere che nel 2017 sono stati prodotti 56 chili, nel 2018, 112 chili, nel 2019, 123 chili e nel 2020 solamente 36 chilogrammi di cannabis terapeutica. Oltre alla ragionamento sulla produzione concreta vorrei anche ragionare, concretamente, sui costi. Nel Decreto Lorenzin, quello che nel 2015 istituiva il progetto pilota di produzione di cannabis, si parlava di un costo stimato per grammo prodotto di 5.93€ più IVA. Secondo i dati a disposizione, i militari hanno prodotto 329 chili, il cui costo totale avrebbe dovuto essere quindi di circa 1.950.970 euro IVA esclusa. Come sono stati spesi i 5.200.000 euro totali? 

SSIT: È anche vero che la seconda tranche di finanziamenti sia arrivata a dicembre 2020 quindi, conoscendo le dinamiche burocratiche, molto probabilmente non sono stati ancora spesi nella loro complessità. Quale è la sua idea a riguardo?

È vero. Forse per avvicinarsi alla verità bisogna calcolare che i finanziamenti ricevuti a dicembre 2020 (3.600.000 euro) non siano ancora stati utilizzati, se non forse in minima parte. Però anche se vogliamo attenerci solo alla prima tranche del finanziamento, quella da 1.600.000 euro, del dicembre 2017, significa che con tale cifra abbiamo comunque prodotto solo 329 chili in quattro anni. Da questo non si esce. E questo nonostante nel corso del 2019 il Sottosegretario alla Salute Armando Bertolazzi dichiarasse che con il primo finanziamento: "Si sarebbe potuto raggiungere una capacità produttiva di circa 200-300 chilogrammi entro il 2019 e dai 400 ai 500 chilogrammi nel 2020 (leggi l'articolo)". O qualcosa non torna o erano solo numeri al vento. 

SSIT: Possiamo parlare di fallimento su tutta la linea?

I numeri parlano da soli. La massima produzione degli anni in analisi è stata di 123 chilogrammi per una nazione intera. Lo scorso anno, d’accordo che è arrivata la rivoluzione del Covid, ma mi domando come sia stato possibile produrre poco più d’un quarto dell’anno precedente. I malati che hanno bisogno di cannabis ne hanno bisogno a prescindere dal Covid. Il progetto di produzione italiana in mano ai militari nasce nel 2015, quando la società civile, soprattutto in quel periodo in Puglia, richiedeva le autorizzazioni per produrre cannabis per i pazienti delle associazioni, penso a Lapiantiamo che già a quell’epoca dimostrava l’esigenza non procrastinabile di avere a disposizione cannabis per una seria continuità terapeutica (leggi l'articolo). Con la nascita del progetto pilota dello Stabilimento Chimico Farmaceutico di Firenze l’idea era quella che, da una parte giustamente, sarebbe stato lo Stato a incaricarsi di un tema tanto delicato. Alla luce però degli anni trascorsi non possiamo non constatare che, con grande rammarico, lo Stato non sia stato nemmeno lontanamente capace di raggiungere gli obiettivi prefissati. 

SSIT: Per quale motivo?

Il motivo principale è stato quello della mancanza di vera determinazione politica a parte quella di facciata di chi si è fatto foto da vetrina prendendosi il merito di un progetto avanguardistico per poi lasciarlo invece relegato in secondo, terzo e visti i numeri, quarto piano. Le responsabilità sono da accreditare in primis a tutti i Ministri della Salute che si sono alternati dal 2015 ad oggi. La mia sensazione è che tutti abbiano avuto la possibilità di fare la differenza e nessuno ci sia riuscito o ci abbia veramente voluto provare. Penso anche al ruolo dell’UCF, l’Ufficio Centrale Stupefacenti di Roma, l’organismo che in quanto a cannabis ha l’ultima parola su quel che succede nel nostro paese. Facendo un semplice esempio è proprio a tale organismo che entro ogni 31 maggio le Regioni e provincie autonome dovrebbero rendicontare le quote di cannabis necessarie per l’anno successivo. Ebbene, nonostante la maggioranza delle Regioni e province non si adegui a questa disposizione, non mi risulta, e spero di sbagliarmi, nessun comunicato o disposizione dell’UCF che domandasse alle istituzioni locali la necessaria e indispensabile collaborazione. Per il 2020 e per il 2021 solo Toscana, Liguria, Sicilia, Sardegna, Friuli, Bolzano e Valle d’Aosta hanno comunicato i rispettivi fabbisogni. Per un totale di 391 chili nel 2020 e 460 per il 2021. Se fossi un paziente delle regioni che non hanno dato comunicazione sarei davvero prima esterrefatto, ma poi indignato e furioso. In più sappiamo, che oltre alla Toscana, le regioni apripista, per quel che riguarda la cannabis medica, sono sempre state Emilia Romagna e Puglia, regioni che in passato hanno anche fatto pressioni per poter coltivare autonomamente. Per questo mi domando perché nell’ultimo biennio non abbiano fornito i loro dati e soprattutto perché Ministero e UCS non abbiano comunque, proiettato quelli relativi agli anni precedenti sul fabbisogno nazionale necessario per il 2020 e 2021. Era ovvio che senza due delle regioni principali i dati sarebbero stati falsati e la cannabis non sarebbe stata sufficiente. 

SSIT: Per questo molti pazienti continuano a chiedere cannabis medica per le loro terapie… 

Con queste premesse è naturale che la cannabis manchi e non si trovi. Le due genetiche italiane (Fm2 ed Fm1) sono latitanti da novembre 2020 (leggi l'articolo), quelle canadesi sono talmente poche, si parla di 200 chili, che svaniscono appena messe in commercio e quelle di origine olandese, per il 2021, non supereranno i 900 chili. In questa situazione i pazienti sono stremati perché oltre al proprio quadro clinico si trovano a fare i conti con una realtà schizofrenica in cui nessuno capisce più la logica perseguita dalle istituzioni sanitarie. 

SSIT: Vaccini e cannabis terapeutica. Burocraticamente una Ferrari contro un triciclo. Perché questa differenza di passo?

Come recentemente ribadiva il Dottor Calvi (leggi l'articolo) da una parte i vaccini sono stati approvati in fretta e furia e dall’altra la cannabis terapeutica sembra confinata in un limbo assurdo nel quale da un lato i pazienti dimostrano quotidianamente l’importanza di questa terapia, ma dall’altro le istituzioni fanno di tutto, scientemente e non, per boicottare questo rimedio. Io credo che vi siano grossi interessi economici in campo e che l’industria farmaceutica non sappia ancora come trarre profitto dallo sviluppo di quest’alternativa terapeutica che si basa su presupposti speculari a quelli alla base della stessa industria. In questa situazione i pazienti sono, di fatto, fra l’incudine ed il martello. La vera frustrazione è che se guardiamo oltre oceano i dati raccontano una realtà rovesciata, in Canada, ad esempio, i pazienti in cura con cannabis e regolarmente iscritti ai produttori autorizzati in quel paese sono circa 400.000 mila, per non parlare degli oltre 40.000 mila pazienti con licenze di coltivazione domestica e ancora per non parlare di tutti quelli che in un paese che tre anni orsono ha legalizzato la cannabis, possono utilizzarla senza prescrizione e a livello di automedicazione. Questo ultimo segmento sta emergendo con forza è parliamo davvero di milioni di persone. Qui in Italia invece manca la cannabis, nonostante lo Stato dovrebbe produrla, se i pazienti se la producono vengono processati e rischiano il carcere. La situazione non è più tollerabile ed infatti i pazienti sono costretti a fare i sit-in sotto il Ministero della Salute. 

SSIT: Si è a conoscenza di quanta cannabis terapeutica si consumi in Italia? 

Nessuno ha questo dato reale. I consumi totali di cannabis, quelli legalmente riconosciuti per lo meno e che rappresentano la punta dell’iceberg, dal 2010 al 2020 sono più che decuplicati passando da 10 chili e 490 etti a 1.122 chili. Per il 2021 è previsto un consumo di oltre 1.400 chili, dei quali 900 verranno forniti dai Paesi Bassi. Se a questa cifra aggiungiamo i 200 chili di provenienza canadese, restano 300 chili che sono quelli che dovrebbe produrre, nel migliore dei mondi possibili, lo Stabilimento di Firenze. L’unica perplessità è capire come pensano di arrivare a produrre 300 chili se l’anno scorso ne hanno prodotti 36 e se quest’anno nessuno ha ancora visto le genetiche prodotte dai militari. Per quel che riguarda la varietà Fm2, addirittura, lo Stabilimento militare comunica laconicamente e senza data alcuna (leggi l'articolo) che la sua produzione, sospesa senza specificarne il motivo, sarebbe dovuta essere riavviata a marzo 2021, ma nessun paziente l’ha più vista a partire da novembre 2020. 

 

M
Marco Ribechi