Cannabis medica in Veneto
La Consulta giudica non incostituzionale la legge regionale veneta varata lo scorso settembre
La Consulta giudica non incostituzionale la legge regionale veneta varata lo scorso settembre
Governo battuto, la legge veneta non è incostituzionale. Ma Roma impugna altri tre provvedimenti, tra cui le borse per gli specializzandi
VENEZIA - La Corte costituzionale respinge il ricorso presentato dal governo (all'epoca presieduto da Mario Monti) e dà il via libera alla legge regionale «sull'erogazione dei medicinali e dei preparati galenici a base di cannabinoidi per finalità terapeutiche». Si tratta, in buona sostanza, del provvedimento varato dal consiglio regionale sul finire del settembre scorso che autorizza la produzione e la distribuzione tra i malati del Veneto dei medicinali derivati dalla cannabis.
Un testo all'avanguardia, che fa della nostra regione la terza in ordine di tempo, dopo la Toscana e la Liguria, nell'attuazione delle disposizioni ministeriali del 2007, ma che pure non mancò di suscitare aspre polemiche al momento della sua approvazione, in particolare da parte di Giovanni Serpelloni, capo del dipartimento Politiche antidroga della Presidenza del Consiglio, secondo il quale la legge non solo era «pericolosa», ma anche «incostituzionale» perché indicava esplicitamente come luogo di produzione dei farmaci il Centro per la ricerca per le colture industriali di Rovigo e lo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze, privi delle necessarie autorizzazioni del ministero e dell'Aifa (l'Agenzia italiana del farmaco).
Proprio quest'ultimo aspetto è quello su cui avevano fatto leva gli avvocati del governo, secondo i quali il provvedimento regionale avrebbe attuato «una sostanziale autorizzazione ex lege, che eccede dalle competenze regionali in materia», finendo però sconfitti di fronte alla Consulta. Secondo i giudici, infatti, la legge non prevede alcun «obbligo» per la giunta bensì una semplice «facoltà» ad avviare azioni sperimentali o specifici progetti pilota con il Centro di Rovigo, con lo Stabilimento di Firenze o con altri soggetti «comunque autorizzati secondo la normativa vigente», dunque senza alcun contrasto con i paletti posti dallo Stato. La battaglia tra il Veneto e Roma, comunque, non si ferma. Da quando si è insediata la giunta Zaia, infatti, sono ben 63 i provvedimenti approvati dal Veneto e poi impugnati dallo Stato, e viceversa. Gli ultimi tre in queste ore. Nella seduta del 12 luglio, il consiglio dei ministri ha deciso di ricorrere contro la legge regionale sul commercio su aree pubbliche e sul Testo unico del turismo, perché «contengono alcune disposizioni che contravvengono ai principi di tutela della concorrenza e del mercato in violazione dell'articolo 117 della Carta».
Nella stessa seduta il governo ha deciso di impugnare pure la legge relativa ai «Contratti di formazione specialistica aggiuntivi regionali», che contiene una norma che prevede l'assegnazione di borse di studio regionali agli specializzandi in Medicina laureati negli Atenei veneti e che, a formazione conclusa, restino a lavorare due anni sul territorio. «Il provvedimento - aveva spiegato il suo ideatore Leonardo Padrin, presidente della commissione Sanità in Regione- è nata per non disperdere il capitale investito dal Veneto nella preparazione dei medici di cui ha bisogno». Secondo l'esecutivo Letta, però, la legge «contiene alcune disposizioni che incidono nella materia dell'ordinamento civile, riservata alla legislazione statale dall'articolo 117 della Costituzione, e contrastano i con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di disciplina delle professioni, di tutela della salute e d'istruzione».
Fonte: corrieredelveneto.corriere.it (Marco Bonet Michela Nicolussi Moro)