Branding weed - Anche in Europa
Il futuro prossimo nel mondo della Cannabis è incerto, ma è anche sulla via della regolamentazione come il modello degli Stati Uniti d’America ci dimostra ai giorni nostri. Negli Stati Uniti d’America è un mercato già attivo e ampiamente regolamentato in numerosi stati, i quali con i numeri alla mano hanno dimostrato gratitudine per l’enorme indotto generato dal commercio della Cannabis.
D’altronde cosa farebbero i governi con a disposizione tutti i soldi che guadagnano le narcomafie? Chiunque l’ha sempre pensato, non è una novità, ora è dimostrato nero su bianco. I servizi sociali funzionano meglio e i fondi statali disponibili sono sempre maggiori per ogni evenienza. Cosa significa però una regolamentazione? Perché, sia ben chiaro e non è un gioco di parole, negli Stati Uniti d’America non è stata legalizzata la cannabis bensì è stata regolamentata. Per vederla legalizzata e coltivata alla luce del sole liberamente credo bisogni cambiar pianeta o aspettare tre o quattro glaciazioni. Accontentiamoci della regolamentazione e vediamo che lati positivi ha.
Innanzitutto la Cannabis deve seguire una rigida filiera, altrimenti si ricade nel reato di narcotraffico. Una rigida filiera significa che il produttore deve essere in possesso delle qualifiche per poter produrre, quindi si parla in certi stati di una licenza che autorizza alla produzione. Il raccolto va impacchettato e prima di essere consegnato dev’essere ispezionato ed analizzato da un laboratorio terzo (non può essere di parte né interno alla produzione né legato al dispensario) che ne certifichi l’eventuale purezza o contaminazione. Quando in Spagna si avrà l’obbligo di analizzare il prodotto chiuderanno i battenti 99 coltivatori su 100, perché sentir raccontare dell’utilizzo intenso di fitofarmaci alla fine della fioritura per fermare un puntino di oidio fa venire i capelli da supersayan.
Inoltre gli unici autorizzati a distribuire il prodotto sono i dispensari, che in alcuni stati non possono rifornire chi non è in possesso di una regolare prescrizione medica. Chi riesce a sottostare a questo regolamento può accedere al mercato e quindi può vendere il suo prodotto. Numerosi produttori hanno cominciato perciò a creare un’immagine pubblica del proprio prodotto, dal verbo inglese to brand – marchiare o etichettare, hanno iniziato a “brandizzare”. Qualsiasi prodotto sul mercato è il risultato di operazioni di branding e marketing, ossia è impacchettato in maniera accattivante e spinto sul mercato dalla pubblicità. Il successo delle vendite deriva da un buon branding e da un buon marketing, al contrario se ne decreterà il suo fallimento. La pubblicità non attira più come prima perciò parte del lavoro di vendita deve venir effettuato dal prodotto stesso e dal suo confezionamento e posizionamento nel mercato.
La credibilità, l’alta qualità e quindi la reputazione di un prodotto sono i valori che deve esprimere il nostro prodotto. Già da tempo anche nel nostro settore, sia terapeutico che non, è stata presa la decisione di usare il branding come metodo di pubblicità e legittimazione del cannabusiness. D’altronde se Pippo ha sempre avuto l’erba buona tutti andranno a cercare Pippo, sulla stessa onda se un produttore è capace dovrà creare un marchio così da permettere ai clienti di raggiungere il suo prodotto. Il fatto di operare, negli Stati Uniti d’America, legalmente ha fatto passare la vendita di Cannabis da semplici fiori in bustine di plastica con scritto a pennarello la varietà, alla vendita di pacchetti già pronti con etichetta con marchio e sigillo di garanzia (ora tutti lo fanno in ceralacca, come si faceva con le pergamene nel medioevo). Impacchettare, pubblicizzare e vendere ora sono delle normali operazioni che fino a ieri non passavano per la testa dei pusher, mentre oggi chi vuole operare in un mercato regolamentato deve per forza tenere ben in conto. Sono i grafici con le loro etichette fighe e i responsabili delle vendite a far sì che un determinato prodotto sopravviva nella jungla della concorrenza.
Anche in Spagna qualcuno ha cominciato ad etichettare i propri barattolini: c’è chi lo ha deciso per vendere a prezzo più alto il medesimo fieno di prima e chi invece crede fermamente nel suo prodotto di qualità. Non dico di spendere grandi budget per un barattolino ben fatto, ma mi sento di consigliare a chi produce un buon prodotto di considerare questa opzione. Un giorno sarà commercializzata come il vino. Buone fumate a tutti!
di CBG
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