SanPa: l'eredità del metodo Muccioli

Soft Secrets
20 Feb 2021

SanPa: l'eredità del metodo Muccioli


SanPa, la docuserie di Netflix ci ricorda che in Italia il dibattito sulle droghe è rimasto agni anni '80

Non è semplice parlare di "SanPa, Luci e Tenebre di San Patrignano" senza rischiare di farne un'ennesima recensione o, peggio, un panegirico manicheo. Di sicuro è il risultato di un lavoro prezioso, che ricostruisce in maniera fedele, con testimonianze e documenti dell'epoca, la storia della più grande comunità di recupero d'Europa. Una comunità che fin dalla sua fondazione, nel lontano 1978, ha suscitato pareri e sentimenti decisamente contrastanti, e che oggi è tornata a polarizzare il pubblico italiano in materia di droghe, tossicodipendenze e recupero.
Le cinque puntate di SanPa - uscite poco prima di Natale per Netflix, scritte da Carlo Gabardini, Gianluca Neri, Paolo Bernardelli e dirette da Cosima Spender - stanno avendo un grande successo di pubblico e critica e, raccontando un pezzo di storia non così lontana - l'Italia del post anni di piombo - ha confermato come, in materia di droghe e proibizione, il dibattito pubblico e istituzionale sia praticamente rimasto agli anni '80. La narrazione, fatta di testimonianze dirette e servizi di repertorio, mostra fin da subito come quella di Vincenzo Muccioli fosse una risposta personale al rifiuto istituzionale di farsi carico di un nuovo fenomeno che stava letteralmente inondando le strade. Una reazione istrionica, organizzata su basi discutibili ma che segnalava un problema crescente - quello dell'abuso di droghe pesanti - a cui in Italia non si voleva dar risposta che non fosse farsi il segno della croce o imporre la galera. E sono stati molti i giudici che hanno mandato questi ragazzi problematici a San Patrignano (SanPa), convinti che il metodo Muccioli potesse fare molto meglio delle ricette di Stato. Contro tutti i protocolli di riduzione del danno che si stavano disegnando all'epoca, contro le terapie sostitutive di metadone (sempre e comunque a scalare), contro i primi esperimenti svizzeri del mantenimento grazie alla somministrazione medicalmente controllata e socio-sanitariamente garantita dell'eroina, ma anche contro il carcere per i "tossici", Muccioli imponeva l'astinenza basata sulla disciplina. Una disciplina impartita con metodi da padre padrone a cui, a un certo punto, è sfuggito di mano il proprio prodotto, creando un clima di terrore che ha portato a segregazioni, punizioni, suicidi, omicidi e infine processi.  Se è facile che la serie Netflix SanPa venga interpretata come una biopic del controverso fondatore, il suo pregio è invece quello di mettere all'indice la società italiana di allora e la sua politica. Nelle immagini di repertorio si vedono madri disperate che invocano il nome di Muccioli come quello di un salvatore non solo della famiglia ma quasi della patria, genitori celebri ben felici di inviare i propri figli in una comunità dove si usavano le catene per non fa scappare gli ospiti, ragazzi accampati davanti ai cancelli della comunità per giorni in attesa di potersi disintossicare a San Patrignano: fu soprattutto durante i processi a suo carico, che Muccioli diventò l'uomo simbolo della lotta alla droga; un privato cittadino che poteva anche infrangere la legge, se il fine ultimo era quello di "salvare" i giovani. Dove lo Stato non c'era, c'era Muccioli: l'Italia di quegli anni tormentati dall'eroina e dalla cocaina - nel suo atavico amore per "l'uomo forte" - aveva trovato il suo nuovo eroe. Col passare degli anni l'opinione pubblica italiana può aver cambiato idea circa la legalizzazione della cannabis ma al momento delle scelte, soprattutto in materia di tossicodipendenza e recupero, la politica nostrana resta fossilizzata sul binomio "droga = male". E, nella nostra cattolicissima Italia, chi decide di avere a che fare col male deve esser purificato, possibilmente tramite la sofferenza e il dolore, per poter conquistare la purezza necessaria per poter rientrare in società. Questo era il modus operandi di SanPa. Lo stabilire cos’è "bene" e cos'è "male" e il giustificare qualunque mezzo per raggiungere il fine ultimo ha caratterizzato la figura di Muccioli nei suoi quasi 20 anni di attività, creando di fatto il modello su cui molte comunità di recupero, create successivamente, hanno fatto riferimento. Pur non avendo le seppur minime competenze professionali del caso, Vincenzo Muccioli si è assunto responsabilità di fronte a un iniziale disinteresse istituzionale, che col passare del tempo si trasformò in adulazione personale, strumentalizzazione politica e venerazione messianica da parte di chi riteneva di dovergli la vita. Che fosse medium, ciarlatano, omosessuale, sieropositivo, socialista, fascista o ateo poco importa, è innegabile che Muccioli si fosse inserito in un enorme vuoto politico che aveva lasciato alla strada e in strada migliaia di giovani, salvo poi volerli "recuperare" mandandoli in galera per anni e senza le cure necessarie. Il problema, allora come oggi, è che non è accettabile né tantomeno plausibile che un comparto così delicato come la riabilitazione dalla tossicodipendenza, sia affidato ad un'ortodossia, soprattutto se questa è di natura privata e clinicamente discutibile. Lo Stato è mancato negli anni di Muccioli e continua ad essere manchevole nel XXI° secolo: si continua a proibire e a punire, senza voler pensare ad una soluzione, preferendo nascondere lo sporco sotto il tappeto, in attesa dell'arrivo dell'ennesimo "salvatore".
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