Niente canapa, niente giustizia

Soft Secrets
07 Sep 2016

Dallo scorso 8 giugno il musicista teatino Fabrizio Pellegrini, affetto da varie patologie che affronta con la cannabis e con lo yoga, è di nuovo in carcere in attesa di scontare una condanna per auto-coltivazione passata in giudicato. Come se non bastasse, la stampa locale lo ha presentato come un vero e proprio mostro affermando che “coltivava marijuana in casa per poi venderla: arrestato. Durante un'operazione antidroga, in manette è finito F.P., classe 1968, di Chieti, fermato nell’ambito di specifici servizi mirati alla prevenzione e al contrasto dello spaccio”. 


In un paese civile sarebbe piuttosto facile il poter dimostrare come la permanenza in carcere di Fabrizio Pellegrini sia del tutto incompatibile non solo con la sua salute ma anche con la democrazia. Basterebbe seguire un ragionamento logico, la stessa conclusione a cui é pervenuta in casi del tutto analoghi la Corte costituzionale tedesca che ha sancito la libertà di coltivare la cannabis per i pazienti non coperti dalla cassa malattie o le cui condizioni non siano coperte dalle cliniche ospedaliere.

Ma in Italia evidentemente la pietà é morta anche di fronte a dati incontrovertibili come lo stato di indigenza e di malattia di Fabrizio Pellegrini, che non dovrebbe temere la violenza dello Stato in quanto povero e malato. Da dieci anni è costretto a coltivare la sua medicina. Ben prima del decreto Turco. Anche questo fa o non fa notizia? Per lui la legalizzazione dell'uso medico non ha cambiato sostanzialmente la sua condizione, salvo restante lo stato di cose presente.

Di fronte a queste fattispecie, in nome di una astratta legalità, lo Stato fa strame dei diritti del malato anche perché, con scadenze quasi regolari, le forze dell'ordine si presentano a casa sua per perseguitarlo, arrestarlo e distruggergli la sua possibilità di cura. Con la complicità dei media e di un ambiente estremamente bigotto come quello teatino. Una vera e propria tortura, di cui il nostro codice penale si rende protagonista e che impedisce la libertà di cura di Fabrizio e di tanti altri soggetti. Un contesto assolutamente perverso che nega una terapia assolutamente sicura ed efficace.

Chi ha arrestato Fabrizio ha agito e continua ad agire sulla base dell'obbligatorietà dell'azione penale che non ammette deroghe né titubanze pena una incriminazione per omessa comunicazione di reato. Per la verità, le stesse forze dell'ordine, i media locali e la stessa magistratura trascendono le loro competenze nel momento in cui esibiscono oscenamente il corpo del delitto o dipingendo l'arresto di un poveraccio come un colpo alla criminalità più o meno organizzata. Essendo Fabrizio un bersaglio facile, da persona pacifica e remissiva, un po' come le pianticelle di cui sopra, troppo spesso esibite come trofei, come una volta si faceva con i resti dei banditi maremmani o calabresi.

Fabrizio è una persona pacifica e buona che incarna la figura del buon nemico o il nemico ideale, secondo la fortunata espressione del criminologo norvegese Nils Christie. In un contesto molto particolare. La sua città, Chieti, passata alla storia come la città della camomilla in quanto scelta dal regime fascista come luogo ideale per celebrare processi farsa come quello che vide assolti gli assassini di Giacomo Matteotti e lo stesso Mussolini, il mandante. In un'epoca storica diversa, il Tribunale teatino non ha voluto recepire l'ampia documentazione medica presentata da Fabrizio a suo discarico. Solo una forte mobilitazione politica a suo favore, parallelamente all'agognato cambiamento dello stato legale della cannabis, potrebbe salvarlo da una lunga pena detentiva.

Ma per fortuna qualcosa si muove, perché dopo la visita in carcere degli esponenti radicali Trisciuoglio e Bernardini, un'interpellanza parlamentare del Gruppo di Pippo Civati-Possibile potrebbe aprire la mente ai nostri governanti e al garante dei diritti dei detenuti. Con una semplice richiesta di delucidazioni rispetto alla sua permanenza in carcere firmata dall'on. Andrea Maestri, assieme ad altri esponenti civatiani che il 30 giugno, durante la seduta 345, si è chiesto il motivo della permanenza in carcere di un soggetto con artrite reumatoide ed altre patologie visto che le normative vigenti sono di controversa interpretazione e causano fatti gravi come quelli sopra descritti.

Si è chiesto se il governo sia a conoscenza dei fatti narrati, se non si ritenga necessario avviare una fase di studio della materia al fine di promuovere una riforma del Codice penale che consenta alle persone affette da patologie che necessitano di cure palliative, come quelle che richiedono l'uso della cannabis e dei suoi derivati, di non dover incorrere in denunce e pene detentive. E inoltre “se non ritengano urgente e necessario, assumere iniziative normative urgenti che chiariscano con certezza a tutti il fatto che l'autoproduzione di cannabis per “uso personale medico” non integra ipotesi di reato. Da tempo si discute della incostituzionalità delle leggi contro la canapa e dell'incongruenza di un sistema che condanna qualcuno per qualcosa che gli fa solo bene. Se non ora quando?

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