Canapa industriale: esperienze e problemi

Soft Secrets
15 Jan 2016

Il canapaio


Da sempre sono interessato alla canapa, ricercatore e sperimentatore dalla metà degli anni ’70, nel 1995 ho scritto i miei primi due libretti sull'argomento. Un paio d’anni dopo si è ricominciato a piantare canapa in Italia in modo legale. In realtà non era mai stata proibita del tutto: per utilizzi industriali si sarebbe potuto continuare a coltivarla e ad usarla, ma una sbagliata interpretazione della legge aveva portato le forze dell’ordine a “dissuadere” chi, dagli anni ‘60 in poi aveva cercato di continuare una coltivazione la cui tradizione durava dalla notte dei tempi (e di cui l’Italia era orgogliosa di avere il miglior prodotto del mondo). Dall’anno dopo ho vissuto un’altra vita in Himalaya, dove la cannabis cresce endemica ed è sacra, e dove ho imparato ad avere un’altro rispetto ed un’altra considerazione per il “regalo di Shiva al genere umano”.

All’inizio dello scorso anno sono stato chiamato in Spagna, per un progetto che sembrava “grandioso”. Purtroppo nel mondo della cannabis molti non lavorano con amore per la pianta, ma solo per profitto, e, alla fine, il progetto “grandioso” si è dimostrato inesistente. Nello stesso periodo dei ragazzi incontrati in Spagna avevano trovato un posto sui Pirenei con un bel terreno circostante, che assomiglia molto alle pendici dell’Himalaya, e abbiamo concordato di provare a coltivare un ettaro di canapa industriale, della varietà italiana “Carmagnola”. La coltivazione della canapa industriale è soggetta alle stesse regole in tutta Europa: bisogna comprare semente certificata, che sia di una varietà presente nella lista delle varietà ammesse, e dare comunicazione dell’avvenuta semina alle forze dell’ordine. Non c’è bisogno di permessi di nessun genere (come tanti sono ancora convinti). Si consiglia, per distinguerla da quella vietata, di seminare almeno un ettaro, ma in realtà locali di piccoli appezzamenti (montagna) è sufficiente sia comunque un “campo” e non poche piantine, magari in vaso.

Sui Pirenei la semina (25 kg/ha, file distanti 45 cm, per poter passare in mezzo comodamente e per poter avere più seme possibile) è stata fatta tardi, intorno alla metà di giugno. Per fortuna, perché pochi giorni prima della semina c’è stata una forte grandinata che avrebbe danneggiato gravemente le piantine, se fossero già nate. Comunque il clima caldo e le piogge abbondanti dello scorso anno hanno fatto crescere piante forti e sane. Non molto alte (2,50 m. al massimo), ma prive di muffe e insetti, con delle infiorescenze spettacolari. Chiunque le vedeva per la prima volta capiva che non c’è alcuna differenza fra queste e quelle “vietate”: sono la stessa pianta! La selezione genetica dovuta al proibizionismo ha fatto restringere di molto il potenziale di espressione delle varietà selezionate “clandestinamente”, ma in varietà tradizionali (landraces), dove l’impollinazione è aperta fra milioni di maschi e milioni di femmine, c’è una possibilità di espressione genetica praticamente infinita.

Le piante autoctone in Himalaya e la nostra varietà rustica coltivata sui Pirenei si assomigliavano molto (anche nel contenuto e nei rapporti fra i cannabinoidi). Perché in grado ancora di esprimere caratteri diversi in ambienti diversi e il clima delle due montagne è molto simile. Il raccolto di semi, dopo la metà di settembre, è stato devastato prima dagli uccelli, prima di raccogliere (a mano! Per fortuna eravamo in tanti) le piante mature. Poi dai topi, in magazzino, e ne abbiamo salvato un terzo.Comunque è stata una prima esperienza esaltante. E una parte è stata trasformata in prodotti salutistici di alta qualità, che sono piaciuti molto. Quest’anno sono tornato in Italia, e, con la mia famiglia, abbiamo deciso di affittare 10 ettari di terreno. Con Assocanapa abbiamo concordato di seminare seme italiano, di varietà dioiche, nel mio caso CS, Carmagnola Selezionata. In una varietà dioica sono presenti individui maschi e individui femmine, la “vera” canapa.

Nelle varietà monoiche la stessa pianta produce prima fiori maschili e poi femminili. A fine stagione il campo è di sole femmine, teoricamente il raccolto di seme è maggiore. Ma a me sembrano un giochino. È stato un’anno sfortunato: il campo è stato lavorato tardi, in primavera inoltrata. Il seme è arrivato tardi, e abbiamo seminato alla fine di maggio (25 kg/ha, file distanti 30 cm. ). Dopo pochissimi giorni c’è stato un diluvio, e tanto è stato dilavato via. Poi ha cominciato a far caldo, un caldo mai sentito, e si è formata una crosta durissima, che ha impedito alle piantine di canapa di crescere rapidamente. Ma non alle erbacce, che, dove l’acqua aveva fatto ristagno (la canapa non sopporta i ristagni d’acqua) hanno avuto il sopravvento. Un’estate torrida e una siccità prolungata (dove si trova il campo non c’è possibilità di irrigare) hanno rallentato la crescita, e il campo alla fioritura appariva a chiazze, con piante medie (fino ai 3 metri), piccole, e zone di erbacce con poche piantine in mezzo.

Avrebbe dovuto venire una mietitrebbia modificata apposta per la canapa, ma a fine settembre, quando le piante sarebbero state pronte dopo pochi giorni, ci è stato detto che la macchina era stata venduta! In quel periodo tutte le mietitrebbie sono impegnate per la raccolta del riso, del mais e della soia, tanti hanno paura di tagliare canapa (a volte è un muro di corde...), tanti non hanno la macchina adatta; e c’è voluto quasi un mese per trovare un volonteroso che, nonostante non avesse la macchina proprio migliore per la canapa, si è cimentato nel taglio e, nonostante notevoli difficoltà e rotture del mezzo, è riuscito a tagliare e a raccogliere il poco seme rimasto. Dopo un mese dalla maturazione, ormai più della metà del seme era caduta a terra. Nonostante le difficoltà l’esperienza è stata più che esaltante.

Ultimamente ai convegni sulla cannabis, ai grower coltivatori/utilizzatori faccio questa domanda:

“é meglio coltivare poche piantine striminzite, sotto a lampade la cui luce può favorire il cancro alla pelle, con aria stantia (priva di ioni negativi), usando per irrigare acqua morta (quasi sempre filtrata con filtri ad osmosi), con la terra (quando c’è!) probabilmente derivante da compost delle città, somministrando alle piante di tutto e di più come nutrimenti e come pesticidi (l’unico prodotto che funziona contro il ragnetto rosso, un potente acaricida, si può usare in agricoltura solo una volta all’anno, solo da personale in possesso di apposito patentino per i pesticidi, almeno a 40 giorni di distanza dal raccolto.

Ho visto usarlo in coltivazioni indoor ogni settimana, senza nessuna protezione da sedicenti grower, fino a pochi giorni prima del raccolto!!!) cercando di accorciare il più possibile i tempi con la paranoia che da un momento all’altro si apra la porta e ci sia qualcuno che ci porta via le piante, se non ci mettono in galera... Oppure è meglio avere milioni di piante, sane, sotto il sole, all’aria e alla pioggia, con tutta la terra ed il tempo di cui hanno bisogno, senza concimi, senza pesticidi, con un profumo inebriante che non devi nascondere, anzi, di cui puoi andare fiero davanti a tutti con la tranquillità e la gioia, finalmente, che NESSUNO può più portarti via dalle tue amate piante.”

E, credetemi, sono le stesse piante, della stessa specie: la canapa.

Nei prossimi giorni (nel momento in cui scrivo, siamo ai primi di dicembre) ci sarà nella mia zona (Casale Monferrato) un convegno importante sulla canapa, in cui cercheremo di promuoverne l’utilizzo e cercheremo di promuovere la costruzione di un impianto di prima trasformazione delle paglie, per far fronte alle richieste di tanti agricoltori che vorrebbero coltivare canapa, ma non saprebbero dove consegnare il volume maggiore del raccolto. É necessario, perché la canapicoltura in Italia possa veramente decollare (nel settore degli alimenti siamo già, dopo 2 anni che possiamo produrre alimenti di canapa, i primi in Europa...) che si faccia opera di diffusione e promozione dei materiali fatti con la canapa, che si cerchino macchinari adatti (ci sono già, in altri paesi d’Europa), se ne facciano di nuovi e si adattino alle esigenze della nostra canapa quelli già esistenti.

Che ci sia un impianto di prima trasformazione delle paglie di canapa raggiungibile con i mezzi agricoli in ogni zona d’Italia. Che si organizzi una filiera che vada dalla formazione dell’agricoltore a quella del venditore e dell’utilizzatore del prodotto finito. Che non ci siano divisioni fra gli operatori del settore e fra tutti gli appassionati/interessati alla canapa. Che non ci si veda come concorrenti, ma come compagni di lavoro per un impegno ed un sogno comune: quello di vedere rivalutata, riconsiderata e riutilizzata la pianta che è stata tanto importante per la nostra economia, per la nostra salute, per la nostra consapevolezza, per la nostra coscienza. La canapa si sta facendo strada anche nel nuovo mondo tecnologico: una impresa di ragazzi siciliani ha perfezionato da poco un nuovo filo di plastica di canapa per le stampanti 3D: se gli si da fuoco, invece di puzzare di diossina ha odore di legno bruciato! E scusate se vi sembra poco...

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