Liberi di coltivare cannabis rudimentalmente

Fabrizio Dentini
17 Apr 2020

Liberi di coltivare cannabis rudimentalmente? Si, ma ancora liberi di venire sanzionati sul piano amministrativo.


Coltivare cannabis rudimentalmente, si può? Le motivazioni della sentenza della Suprema Corte di Cassazione

Non è più reato mettere un seme di cannabis appena germinato in un vaso e annaffiarlo con acqua tutti i santi giorni sino al raccolto. Non è più reato penale dunque, ma sempre un illecito amministrativo [Ndr. Art. 75 del Testo Unico sulle droghe D.P.R. 309 del 1990]. Si può coltivare cannabis rudimentalmente, insomma, per soddisfare le esigenze personali, ma in maniera rudimentale, senza strumentazioni adeguate e pratiche agricole finalizzate a produrre un quantitativo non modesto. Questa, riassunta, è la decisione che le Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione hanno preso, in nome del popolo italiano, lo scorso 16 aprile.

Le Sezioni Unite, interpellate in merito per il caso di un giovane coltivatore campano trovato con due piante e 11 grammi di cannabis, hanno reputato che la rilevanza penale di qualsiasi coltivazione (anche realizzata ad uso personale) di piante dalle quali siano estraibili sostanze stupefacenti, dovesse essere rivista ed hanno quindi cercato di stabilire un nuovo principio di diritto che garantisca una certa uniformità nell’applicazione futura della legge.

Ecco il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite: “Il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per la modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente; devono però ritenersi escluse le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto realizzabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nel mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore.”

Da un lato quindi, un piccolo passo avanti perché almeno adesso chi coltiva, seguendo i parametri espressi nella sentenza, può smettere di avere paura di una denuncia. Piccolo passo però, questo rimane, perché anche senza denuncia i coltivatori sono ancora passibili per un periodo non inferiore ad un mese e non superiore ad un anno, di sospensione della patente di guida o al divieto di conseguirla, di sospensione della licenza di porto d'armi o al divieto di conseguirla, di sospensione del passaporto o al divieto di conseguirlo e di sospensione del permesso di soggiorno per motivi di turismo o divieto di conseguirlo se cittadino extracomunitario.

Insomma nemmeno queste sanzioni amministrative sono noccioline, ma al contrario rappresentano violente intrusioni nella sfera delle libertà personali.

 

Questo piccolo, quindi forse piccolissimo passo, lascia aperto adesso il campo al dibattito politico. Perché è questo quello che manca. Mancano dei legislatori che di buona lena si mettano a riscrivere e modificare un testo, quello del 1990, che da ormai 30 anni regola la vita dei coltivatori di cannabis. Un testo concepito in un’Italia dalla sensibilità differente, dove sulla cannabis si sapeva e si voleva far sapere ancora poco, un’Italia dove ancora si mistificava la pericolosità di questa pianta, assolutamente trascurabile rispetto a tutta la serie di droghe legali e non che circolano nelle società moderne. Un contesto dove a livello internazionale si seguivano le stesse indicazioni, al contrario di oggigiorno, quando mentre noi ancora discutiamo su questi aspetti, negli Stati Uniti ed in Canada solcano la storia con la totale legalizzazione della pianta in questione.

Ribadiamo che resta comunque, per amore del vero, il non poter attribure al potere giudiziario quello che spetterebbe al potere legislativo. Perché leggendo attentamente, anche fra le righe, questa importante sentenza delle Sezioni Unite si scorge un lavoro di cesello al fine di far avanzare le interpretazioni dei giudici, ma sempre all’interno di un contesto sanzionatorio del quale gli stessi non possono travalicare ovviamente i confini. Ancora oggi infatti, i giudici sono chiamati a punire chi coltiva cannabis quando venga verificato che la sostanza prodotta non sia riconducibile alle modeste quantità dedicate al consumo personale. Quali siano queste modeste quantità che declinino il consumo personale come non punibile penalmente spetta ai politici spiegarlo.
Ma su questo punto la loro latitanza è palese. Abbiamo in Parlamento una forza politica sulla quale molti coltivatori di cannabis avevano puntato. Ma questa forza politica li ha dimenticati. E quando il legislatore persiste, nel rifuggere le proprie responsabilità, il cittadino si ribella.

Così i coltivatori di cannabis subiscono ancora le tutele non richieste di uno Stato che per preservare sulla carta la salute delle giovani generazioni, di fatto, ne reprime i costumi complicando loro una già difficile esistenza. Maggiore è poi la colpa di uno Stato che sceglie d’intervenire sempre in negativo, per punire appunto e mai in positivo, per formare nelle scuole al consumo di sostanze, per spiegare nel dettaglio e senza preconcetti e per far crescere infine, ma per davvero, queste nuove leve sulle cui spalle, loro malgrado, poggia l’architrave del sistema repressivo che regola le condotte di tutti i cittadini.

La Corte di Cassazione insomma si è espressa all’interno delle perigliose acque del paradigma giuridico, tocca ai nostri rappresentanti alzare l’asticella e portare l’Italia meritevolmente al passo con le dinamiche globali in tema di cannabis.

Leggi anche l'articolo di Soft Secrets del giorno della sentenza delle  Sezioni Unite

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Fabrizio Dentini