Legalized: antiproibizionismo militante

Soft Secrets
29 Dec 2017
Se nel corso degli ultimi anni avete visitato Canapa in Mostra a Napoli ed Indica Sativa Trade a Bologna sicuramente li conoscete. I ragazzi di Legalized (growshop del centro storico di Napoli) non passano certo inosservati, con ottimismo e simpatia sono ormai 15 anni che propongono al pubblico partenopeo un’alternativa concreta alla criminalità organizzata: l’autoproduzione.  di Fabrizio Dentini Dentro il magazzino del negozio, a due passi da Piazza del Gesù, Adriano mi racconta come nasce questa avventura … «Ovviamente avevo passione e curiosità per la coltivazione di marijuana e per il suo consumo. Così ho cominciato in Olanda pulendo le piante. Nel 1996 ho iniziato a coltivare insieme agli olandesi imparando tutte le tecniche sul mercato, dall’idroponia, al cocco, alla terra con impianti da produzione industriale. Nel 2000 sono rientrato a Napoli portandomi dietro tutto il materiale avanzatomi e successivamente, nel giugno del 2002, ho deciso di aprire un negozio come quelli in Olanda».

SSIT: Cosa significa lavorare nel nostro settore in una realtà come la vostra?

«Avere un growshop a Napoli vuol dire essere antiproibizionista al 100% è una città nella quale la criminalità punta su tutto quello che è illegale e ovviamente la marijuana è la prima cosa. Il nostro lavoro punta a togliere la malaerba dalla strada, insegna la passione per la coltivazione, la sensibilità nella cura di una pianta, che poi diciamolo, da questa attenzione nasce anche la voglia di prendersi cura del prossimo. È un discorso di civiltà. La nostra battaglia si svolge su due fronti da un lato fra vita e politica e dall’altro fra vita e malavita. Il primo aspetto è quello della lotta alla politica per cambiare le idee: ogni ottobre, da 15 anni, per 3-4 mesi tutti i ragazzi che abbiamo fatto coltivare avranno raccolto un prodotto per il proprio consumo personale ed in 15 anni parliamo di migliaia di ragazzi. Questo è un dato di fatto che la politica non ci ha mai riconosciuto. Il secondo aspetto è quello fra vita e malavita: qui se vuoi fare il pusher o compri da loro o da loro compri la libertà di spacciare ed è facile dire che il growshop a Napoli venda sottobanco e che ti mettano in campi di appartenenza che non sono reali e le forze dell’ordine lo sanno. Noi non vendiamo semi sfusi, a me non interessa chi viene in negozio per comprarsi in una volta 20 mila semi, io punto su 20 mila persone che vengono a comprarsi un seme per volta».

SSIT: Secondo te l’autoproduzione è anche economia virtuosa?

«Ascolta, per fare una pianta in outdoor con investimento massimo servono 70 euro a pianta (seme, fertilizzante, terra, vaso e tanto sole). Un coltivatore con esperienza tranquillamente arriva a produrre mezzo chilo. Quindi il costo è di 70 euro per mezzo chilo ed è questo il vero risparmio: l’autoproduzione è un risanamento dell’economia individuale, bisognerebbe attivare dei progetti in questa direzione, non bisogna sanare il debito pubblico, ma cominciare a sanare quelli individuali, pensa a chi si fuma diciamo 1 grammo al giorno che al mese spende 300 euro! Comunque se si vuole distruggere il narcotraffico è un discorso, se si vuole sanare il paese è un altro».

SSIT: Come credi si debba organizzare la legalizzazione nel nostro paese?

«Dal nostro punto di vista privilegiato, perché interno alle logiche di una città come la nostra, noi vogliamo la libertà di coltivazione, ma senza vendita perché questo significherebbe maggiori estorsioni, maggiori rapine, maggiori furti e maggiori possibilità di riciclaggio. Dall’altro lato questa lotta di civiltà si vince con sensibilità ed intelligenza, perché quando avremo il diritto di coltivare nessuno avrà più bisogno di comprare».

SSIT: Pensate che la criminalità organizzata potrebbe sfruttare un’eventuale legalizzazione?

«Ormai la criminalità organizzata non è più quella del passato, oggi sono più istruiti ed intelligenti e non vedono l’ora che la vendita sia legalizzata per entrare nel mercato con corruzione e contrabbando, quindi ribadisco di essere contrario alla legalizzazione della vendita e totalmente per la libertà di autoproduzione e consumo personale. Siamo contrari alla vendita e favorevoli al baratto fra coltivatori, baratto che apre sempre la coscienza di chi produce, allo stesso tempo siamo contrari anche al modello spagnolo dei Cannabis Social Club perché è controllato male, perché quando sono club troppo grossi non riescono ad eliminare il traffico del quale hanno sempre bisogno come sostegno alla produzione. Un club dovrebbe essere un luogo dove i coltivatori per uso personale possono scambiarsi impressioni e barattare fra loro conoscenza e prodotti».

SSIT: Che ne pensi dei nostri rappresentanti e delle nostre istituzioni in questo dibattito?

«Al momento le istituzioni del nostro paese non sono pronte, non sono abbastanza istruite sono ancora allo “spinello”. C’è tanta ignoranza anche dal punto di vista medico e infatti ultimamente ho molti clienti che vengono qui per imparare e che con molto coraggio, loro si che sono i più coraggiosi, si producono direttamente la loro legalità. Sono arrivati al punto che non hanno niente da perdere e noi non siamo certo dottori, ma per quel che riguarda come si produce un prodotto di qualità siamo sicuramente degli ottimi interlocutori».  
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