Cannabis + teenager = zero

Exitable
26 Dec 2015

  Una ricerca statunitense smentisce la vecchia equazione  


Una ricerca statunitense smentisce la vecchia equazione “Se fumi da piccolo, ti si blocca la crescita”: quante volte ce lo siamo sentiti dire? Ci abbiamo sempre creduto poco – un po' come all'altro refrain di parrocchia “se ti tocchi, diventi cieco” – e per molti di noi stoners la prima canna è arrivata probabilmente molto prima della “prima volta”. Eppure si è sempre fatto un gran parlare di quanto la marijuana sia in realtà pericolosa se assunta nella cosiddetta età dello sviluppo. A suffragare questa tesi, pochi studi e molta retorica ma dagli Stati Uniti pare essere finalmente arrivata una risposta definitiva. 

Fumare cannabis durante gli anni dell'adolescenza non provoca danni fisici quando si diventa adulti. Questo almeno è quanto sostiene una ricerca dell'università di Pittsburgh, pubblicata sulla rivista specializzata Psycology of addicted behaviors. Gli esperti hanno analizzato le abitudini di un gruppo di 400 ragazzi dai i 16 e i 36 anni, concludendo che il consumo di marijuana non è collegato a malattie come, ad esempio, la depressione, l'asma o il tumore ai polmoni.

Una ricerca durata 20 anni in cui sono stati seguiti comportamenti e le condizioni di salute di 408 giovani di sesso maschile scelti in modo casuale. L'obiettivo era registrare nel dettaglio cosa accadeva nell'arco di due decenni per capire se, col passare del tempo e con il possibile cronicizzarsi delle fumate, chi consumava cannabis fosse più esposto a malattie. «Quello che abbiamo trovato è sorprendente – ha spiegato Jordan Bechtold, psicologo e ricercatore al Medical center dell'ateneo di Pittsburgh – ed evidenzia come in realtà non ci siano differenze nelle condizioni fisiche o mentali fra persone che hanno fumato cannabis da teenager e quelle che non lo hanno mai fatto».

Lo spauracchio dei “danni permanenti”, agitato spesso e volentieri dai proibizionisti incalliti di fronte alla naturale curiosità dei giovani – o, più recentemente, di fronte alla volontà istituzionale di portare nel novero della legalità la pianta di canapa – ha sempre fatto affidamento su dati parziali o comunque obsoleti. All'Università di Pittsburgh però volevano prove concrete. In particolare, questo studio aveva come obiettivo quello di verificare se la cannabis potesse portare nel tempo a disturbi psicotici come, ad esempio le allucinazioni, oppure a tumori, problemi respiratori e asma.

Ma analizzando il campione non si sono riusciti a trovare collegamenti con queste patologie e neanche con stati di ansia, depressione, allergie, mal di testa e sbalzi di pressione. «Questa ricerca è una delle poche che ha esaminato l'effetto della marijuana nel lungo periodo», ha detto Bechtold. L'analisi è incominciata alla fine degli anni '80, quando i ragazzi seguiti dal progetto Pittsburgh youth study avevano 16 anni e per 12 anni sono stati sottoposti a controlli ogni 6 mesi. In seguito gli esami sono stati via via meno frequenti e infine i partecipanti sono stati convocati una volta compiuti 36 anni.

Da questo significativo campione è stato poi possibile estrapolare un pattern comportamentale sulla fruizione della cannabis – perché, c'è da dire, non tutti quelli che la provano poi le rimangono affezionati. Sono infatti ben quattro i gruppi nei quali i partecipanti alla ricerca sono stati suddivisi: ragazzi che non fumavano o lo facevano solo sporadicamente (il 46%), i fumatori 'cronici' (22%), coloro che avevano consumavano marijuana solo da giovani (11%) e infine quelli che avevano cominciato alla fine dell'adolescenza e che non avevano mai smesso (21%).

Confrontando i dati raccolti sui quattro gruppi, lo studio ha dimostrato che fumare cannabis nell'adolescenza non provoca particolari problemi se non in termini di rendimento scolastico. A onore del vero, bisogna anche far presente che nello studio illustrato in queste pagine fra i ragazzini che avevano fumato più spinelli si è registrata una dipendenza maggiore: il consumo è aumentato fino a raggiungere 200 giornate l’anno di fumo, anche se successivamente è diminuito. Solo pochissimi partecipanti allo studio hanno poi registrato episodi di disturbi psicotici ma non ci è dato sapere se questa percentuale avesse familiarità con questa patologia, ovvero se esistessero casi pregressi nelle cerchie familiari dei soggetti interessati dal disturbo.

«Con il nostro studio vogliamo contribuire al dibattito sulla legalizzazione della marijuana. È un argomento delicato e un solo studio non può dare risposte», ha concluso il dottor Bechtold. Certo, una sola ricerca non può bastare a confutare mezzo secolo di allarmanti richiami e roboanti panzane alla Reefer Madness o – per gli affezionati e i nostalgici del nostro Carlone Giovanardi – alla DPA. Ma quello dell'Università di Pittsburgh rappresenta comunque un primo passo per provare a vederci chiaro, una volta per tutte e oltre i proclami proibizionisti, sugli effetti collaterali della cannabis. Perché, è sempre bene tenerlo a mente, “possenti sono le doti delle piante ma spesso la virtù genera vizio, quando male applicata”.

 

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