La D maiuscola della droga: informazione e qualità

Exitable
25 Sep 2015

Siamo un Paese bizzarro, lo si sa, ce lo dicono e non possiamo che constatarlo.


Siamo un Paese bizzarro, lo si sa, ce lo dicono e non possiamo che constatarlo.

Siamo un Paese bizzarro, lo si sa, ce lo dicono e non possiamo che constatarlo. Nell’estate durante la quale numerosi politici si coalizzano per proporre anche in Italia un percorso legislativo sul come legalizzare la cannabis, il dibattito sulle droghe in generale, a causa della morte di un ragazzo in discoteca, ci permette di riconoscere nitidamente la becera ipocrisia moralista che tiene il nostro paese ancorato ad un passato che lotta come può per non venire scavalcato dal corso della storia. Per fortuna è dal Medioevo che nascerà il Rinascimento.

Capiamoci bene, la morte di questo ragazzo è da mettere in conto al morbo del vietare a tutti i costi, alla pazzia di sostenere che la droga fa male e basta, e alla pratica omicida di ritenersi paladini della gioventù, in nome della quale si portano avanti errori di approccio educativo che nella realtà si trasformano in completa ignoranza sul come si consumano le droghe, e cioè, nella maniera più sicura possibile.

Questa tendenza da crociata contro le sostanze viene bene riassunta dalle parole del nostro Ministro dell’Interno Angelino Alfano che al Corriere dichiarava: “Contro lo sballo che uccide adotteremo la tolleranza zero. Non possiamo rimanere a guardare i ragazzi distruggersi il cervello e rischiare la vita. Se non addirittura perderla”. Non credo che Angelino Alfano sappia o reputi importante constatare che, per quel che riguarda le droghe, i nostri ragazzi sono dei completi autodidatti e che questo rappresenta il nostro più grande sbaglio nei loro confronti. Nessuno si vuol prendere la briga di seguirli, consigliarli e trasmettere un sapere che, come in tutti i campi, si apprende solo con l’esperienza. La tolleranza zero dovrebbe essere contro l’ignoranza, la scuola deve servire a preparare i ragazzi anche sotto questo profilo, sennò a cosa serve, un’educazione che riempie di nozioni, ma non prepara alla vita fuori dai suoi corridoi?

La morte di questo povero ragazzo poi, è dovuta molto probabilmente, oltre che al contesto culturale oscurantista, anche ad un fattore certamente non secondario, la qualità della droga assunta.

Si fa un bel dire dappertutto: qualità, qualità, qualità, ma quando si parla di droghe il concetto sembra perdere di vitalità per coprire un atteggiamento osceno, quello di chi non concepisce che per il popolo dei giovani, il popolo dei ribelli, il popolo di quelli che stanno crescendo e si stanno formando sui nostri banchi, infrangere le regole è spesso un modo di sentirsi vivi, contro, ma vivi nella ricerca di una strada diversa da quella che i grandi insegnano, senza ricordarsi cosa sia l’adolescenza, quanta sensibilità e paura si porti dietro e quanto dovrebbe essere protetta con la forza onesta di parole che informino e aiutino, direzionino, per quanto possibile, i nostri ragazzi nelle loro scelte di evasione.

La qualità della droga è fondamentale per capire come si possano generare tali tragedie. Un prodotto di qualità è una garanzia, una tutela per chi consuma. E allora perché non si distribuiscono prodotti di qualità? Perché lo smercio di queste sostanze è libero e indiscriminato, chiunque può acquistarle, chiunque può rivenderle, chiunque può tagliarle per ricavare un margine maggiore di profitto. Questo è il punto. E lo Stato democratico e sinceramente costernato nei suoi rappresentanti che fa? Proibisce prima e proibisce poi, non entra nel merito, chiude la discoteca in causa, ma Alfano si dichiara pronto a chiuderne altre, si smarca dalle proprie responsabilità e punta l’indice contro gli spacciatori.

Ma sono gli spacciatori stessi il frutto della nostra politica in materia di stupefacenti. Spacciatori che funzionalmente sono semplicemente degli intermediari fra domanda e offerta, una domanda senza formazione ed un’offerta senza controlli. Formiamo la domanda, controlliamo l’offerta: solo in questo modo si potrà, nel medio termine, invertire la rotta di questi drammi del venerdì sera, come se fosse arrivato con l’ultima morte il momento decisivo per prendere posizione, fuori dalla propaganda politica e con le mani sporche di un lavoro eseguito per strada, all’ingresso dei locali, e soprattutto, in anticipo, nelle scuole italiane.

Invece quel che succede è esattamente il contrario: gli unici che fanno un lavoro di sensibilizzazione ad un consumo responsabile, testando le sostanze e la loro qualità, sono associazioni di volontari che vanno avanti con le loro limitate - anche se appassionate risorse. Sul campo lo Stato pensa ad un unico aspetto, il più semplice: la repressione, il controllo di polizia che arriva al termine del processo e non influisce in nessun modo sul grado di consapevolezza del consumatore. Per non parlare poi di quella che dovrebbe essere l’architrave di ogni politica seria in campo di prevenzione e cioè lo spiegare cosa siano le droghe nei licei e negli istituti della penisola (ricordiamoci che in inglese droga e farmaco sono la stessa parola), probabilmente un lavoro in questa direzione verrebbe bollato come incitazione al consumo, senza voler riflettere, chi in buona chi in cattiva fede, sul fatto che lasciare i ragazzi allo sbando senza informazioni è come mettere la polvere sotto il tappeto e poi lamentarsi dell’asma, perché prima o poi la crisi arriva.

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