E la patente (forse) è salva

Exitable
10 Jun 2015

Una sentenza del TAR ribalta l'automatismo della sospensione della patente


Una sentenza del TAR ribalta l'automatismo della sospensione della patente

Nonostante l'abrogazione della legge Fini-Giovanardi e lo slittamento della cannabis nella tabella delle “droghe leggere” con la conseguente depenalizzazione dell'uso personale, essere beccati (al volante oppure no) in possesso di quantitativi anche minimi di stupefacenti, significava comunque vedere la propria patente ritirata per un periodo che poteva andare da un periodo minimo di un mese a 3 anni. Lo scorso 8 gennaio, però, la prima sezione del Tribunale Amministrativo Regionale di Brescia ha cambiato le carte in tavola: se la sostanza in questione è la cannabis, allora la sospensione o la revoca della licenza di guida non deve essere automatica. Proviamo a capirci qualcosa di più. 

Il giovane lombardo M.Z. viene beccato nel luglio 2013 con 54 grammi di marijuana e una mini-serra da 10 piantine in casa. Giudicato colpevole di detenzione illecita di sostanza stupefacente dal Tribunale di Bergamo, M.Z. viene condannato a sei mesi di reclusione e ad una multa di 2.000 euro. I sei mesi di carcere ovviamente non se li fa – la sospensione sulla base condizionale è d'obbligo se si è incensurati – ma il poverino incappa comunque in tutta quella serie di beghe amministrative che caratterizzano ancora oggi una condanna per droga, patente compresa.

I giudici gliela revocano per tre anni, il massimo che possono fare attenendosi all'articolo 120 commi 1 e 2 del codice della strada, che impone la revoca della licenza di guida “nei confronti di chiunque non abbia i requisiti morali previsti dalla legge”. Ovvero i delinquenti abituali, professionali o per tendenza; coloro che sono (o sono stati) sottoposti a misure di sicurezza personali o alle misure di prevenzione previste per chi è dedito ad attività delittuose o che vive con i proventi di attività illecite; le persone condannate per i reati di produzione e traffico di stupefacenti o sostanze psicotrope. M.Z. grazie al suo pollice verde e alle 10 piantine in casa, cadeva nell'ultima di queste fattispecie.

Tre anni senza la possibilità di guidare una macchina rappresentano, oltre ad una punizione esemplare, un enorme handicap per chi deve portare avanti la propria vita, nonostante la condanna. M.Z. si rimette dunque nella mani degli avvocati, in particolare dello specialista Carlo Alberto Zaina, e fa ricorso. La tesi del ricorso è che a seguito delle modifiche all'articolo 73 comma 5 della legge Jervolino-Vassalli – intervenute con il via libera all'attuale legge Lorenzin – che hanno reintrodotto il concetto di “lieve entità”, sarebbero venuti del tutto meno i presupposti secondo cui M.Z. non aveva diritto a circolare autonomamente su strada.

Ora, la legge Lorenzin è del 2014 ma stando ai tortuosi percorsi giuridici, essendo stata mutuata da una legge del 1990, dovrebbe essere applicata anche in modo retroattivo. Così facendo, i 54 grammi e le 10 piantine di cannabis cui M.Z. era in possesso, rientrerebbero in un comportamento si illecito ma al contempo di lieve entità. Il giovane era infatti incensurato e nei procedimenti non erano state attestate prove tangibili che riconducessero la coltivazione ai fini dello spaccio, perciò la sua non poteva essere certo descritta come una condotta criminale o da inserire al di fuori di quei “requisiti morali previsti dalla legge” per ottenere la licenza di guida.

E qui arriviamo finalmente alla cuore della questione. Con l'ordinanza n. 41 dello scorso 8 gennaio, il TAR di Brescia ha accolto il ricorso di M.Z. stabilendo che, nel caso in cui la sostanza stupefacente sia la cannabis, la revoca o la sospensione della patente non debbano avvenire in automatico ma debbano invece essere valutate caso per caso, secondo determinati criteri che in sintesi sono:

– la gravità dell’episodio criminoso descritto nella sentenza di condanna;
– la condotta mantenuta dal ricorrente in seguito al provvedimento;
– le eventuali nuove denunce a carico del ricorrente (o sue frequentazioni di soggetti pericolosi);
– la presenza o meno di familiari in grado di assistere e sostenere il ricorrente nel percorso riabilitativo;
– lo svolgimento di attività lavorative (o l’arrivo di offerte di lavoro) che rendano necessario il possesso della licenza di guida;
– le modalità con cui il ricorrente ha utilizzato in precedenza la patente.

L’iter prevede poi che giudice e amministrazione debbano comunque confrontarsi entro due mesi dalla data dell’ordinanza per pronunciarsi nel merito. Ma la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale di Brescia ha di certo prodotto un precedente non da poco, soprattutto per quanto riguarda l'orientamento. Andiamo a vedere le motivazioni.

I magistrati Angelo De Zotti, Mario Mosconi e Mauro Pedron, nell'accogliere il ricorso presentato da Zaina sono partiti dal presupposto tanto semplice quanto imprescindibile: la legge è cambiata. Se infatti la Fini-Giovanardi andava ad agire sul codice della strada, con la sua abrogazione per incostituzionalità decadevano anche le estensioni che erano state fatte nel 2009 con il nuovo Codice della strada. Nella sentenza possiamo infatti leggere: “Quando nel 2009 all'art. 120 comma 1 del codice della strada è stato aggiunto il riferimento alle condanne previste dall'art. 73 del DPR 309/1990, quest'ultimo era già stato modificato dall'art. 4-bis del DL 30 dicembre 2005 n. 272, e racchiudeva in un'unica figura di reato le violazioni relative a tutte le sostanze stupefacenti o psicotrope. L'unificazione del trattamento sanzionatorio si estendeva anche al fatto di lieve entità, previsto come circostanza 1'attenuante dall'art. 73 comma 5 del DPR 309/1990. Prima del DL 272/2005, al contrario, il trattamento sanzionatorio era differenziato, sia nell'ipotesi ordinaria sia in quella di lieve entità, a seconda che i reati riguardassero le sostanze stupefacenti o psicotrope incluse nelle tabelle I e III (cosiddette "droghe pesanti") o quelle incluse nelle tabelle II e IV (cosiddette "droghe leggere")”.

Prima del 2009 dunque, sulla base di quanto previsto dalla Jervolino-Vassalli, le sanzioni per chi veniva beccato alla guida in possesso di cannabis erano ben diverse da quelle previste per chi invece deteneva cocaina, ecstasy, ketamina, eroina e così via. Ora, il codice della strada del 2009 è lo stesso in vigore oggi, ma la modifica fatta in seno alla Fini-Giovanardi non può avere più valore giuridico dal momento che la Corte Costituzionale l'ha cassata e fatta abrogare.

“Nello scenario aperto dalla sentenza costituzionale n. 32/2014 e dalla nuova formulazione della fattispecie di lieve entità ex art. 73 comma 5 del DPR 309/1990 – continuano i giudici – sembra che l'ordinamento contenga ora elementi sufficienti a far ritenere superato l'automatismo dell'art. 120 del codice della strada, quantomeno per le ipotesi di reato che sono state direttamente investite dalle innovazioni normative (droghe leggere e fattispecie di lieve entità). […] Una volta caduto il carattere unitario della disciplina sanzionatoria penale, la modifica normativa, benché interna all'art. 73 del DPR 309/1990, si riflette dinamicamente anche sull'art. 120 del codice della strada”.

Per la sospensione o la revoca della patente di guida è stata in sostanza ripresa l'impostazione anteriore alla Fini-Giovanardi con un'interdizione più lunga per le droghe pesanti e una più breve per le droghe leggere. Di conseguenza, in relazione alla patente di guida, le condanne per reati riguardanti gli stupefacenti non sono più considerate dall'ordinamento giuridico italiano come un elemento da trattare in modo monolitico, a cui associare cioè un'identica misura amministrativa.

I giudici bresciani ammettono infatti in modo sibillino: “È vero che il legislatore avrebbe potuto intervenire direttamente anche sull'art. 120 del codice della strada per regolare in modo differenziato la revoca della patente di guida con riguardo alla diversa tipologia di stupefacenti o relativamente alla fattispecie di lieve entità. Tuttavia [...] lasciando invece inalterato il testo dell'art. 120 del codice della strada il legislatore ha escluso questa opzione, e dunque ha mantenuto la previsione della revoca anche per episodi relativi alle droghe leggere o ricadenti nella fattispecie di lieve entità, ma non ha impedito che in questi stessi casi, dove il regime sanzionatorio è stato significativamente modificato in senso favorevole ai soggetti condannati, si riespandesse il principio generale della valutazione discrezionale da parte dell'amministrazione”.

Insomma, una volta decaduta la Fini-Giovanardi i legislatori avrebbero dovuto cambiare anche l'articolo 120 del codice della strada. Non l'hanno fatto ed ora i giudici si attengono alla giurisprudenza precedente, secondo i dettami costituzionali. Questa prevede che ci siano trattamenti ben differenti tra i detentori di droghe leggere – leggi hashish e marijuana – e di droghe pesanti, di conseguenza la misura della revoca o della sospensione della patente devono essere valutati dalle corti caso per caso.

E nel caso di M.Z. è andata bene. Nelle motivazioni a corredo della sentenza, i giudici bresciani specificano infatti che: “l'automatismo della revoca della patente di guida ex art. 120 commi 1 e 2 del codice della strada si deve ormai considerare superato in relazione alla fattispecie di lieve entità e alla condanna per droghe leggere, purché in quest'ultimo caso la pena in concreto applicata non superi il massimo edittale della fattispecie di lieve entità. La situazione del ricorrente, sia prima sia dopo la rideterminazione della pena, ricade precisamente in quest'ultima ipotesi”.

Sia lode dunque al concetto di “lieve entità” bandito dalla Fini-Giovanardi e riportato in auge grazie alla pigrizia di un esecutivo che non ha saputo far di meglio se non infiocchettare una legge di 25 anni fa. Se si lascia ai giudici la possibilità di orientare il giudizio – sulla base di evidenti lacune nella norma – in modo autonomo, allora la direzione da seguire è quella che porta ad essere più clementi verso chi viene trovato in possesso di cannabis e derivati. Questo ci dicono i giudici bresciani. Tirando le somme, dunque, quella del TAR di Brescia è stata una sentenza coraggiosa, sebbene dovuta. Ci auguriamo che la via da loro indicata possa essere presa sempre più spesso nei procedimenti che riguarderanno (speriamo sempre in minor numero) l'uso e la detenzione della nostra amata piantina.

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