A causa della spending review il CRA-CIN di Rovigo rischia la chiusura

Exitable
03 Mar 2015

Nello scorso numero vi abbiamo dato notizia di come a breve, nel nostro Paese, sarebbe partita una produzione autonoma di cannabis da impiegare a fini terapeutici. 


Nello scorso numero vi abbiamo dato notizia di come a breve, nel nostro Paese, sarebbe partita una produzione autonoma di cannabis da impiegare a fini terapeutici. 

Nello scorso numero vi abbiamo dato notizia di come a breve, nel nostro Paese, sarebbe partita una produzione autonoma di cannabis da impiegare a fini terapeutici. Il protocollo ufficiale non c'era ancora ma le dichiarazioni congiunte dei Ministeri di Sanità e Difesa avevano fatto intendere che lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze, incaricato ufficialmente della produzione, sarebbe stato operativo entro il 2015. La scadenza per la definizione del protocollo era stata fissata al 31 ottobre. Lo stesso giorno, il settimanale L'Espresso pubblica un articolo in cui sostiene che la coltivazione della marijuana nell’ospedale militare di Firenze potrebbe non partire mai perché il Centro di ricerca sperimentale di Rovigo – unico istituto dove è possibile coltivare legalmente la canapa Indica – è in realtà a rischio chiusura a causa della spending review. Ce la faranno i nostri eroi a far partire il progetto pilota?

Se in Italia esiste un proverbio veritiero è certamente quello che recita: “non dire gatto, finché non  l'hai nel sacco”. Mai adagiarsi sugli allori, mai cantare vittoria troppo presto. Ed ecco l'ennesimo esempio. Solo quattro mesi fa la conferenza stampa dei Ministri Lorenzin e Pinotti aveva galvanizzato quanti da anni si battevano per la libertà di cura e per l'accessibilità diffusa alla cannabis medica. Tutto sembrava quadrare: c'era il luogo fisico di produzione – l'Istituto Chimico Farmaceutico Militare a Firenze –, c'erano le competenze –il CRA-CIN di Rovigo a supervisionare da un lato, le attentissime reclute dell'esercito ad eseguire e a proteggere dall'altro –, c'era poi soprattutto quella che pareva essere una volontà politica condivisa.

Se uso l'imperfetto è perché il fantastico progetto istituzionale di coltivare cannabis in proprio, rischia di saltare senza nemmeno aver definito il protocollo di partenza. La notizia è stata diffusa da L'Espresso e paventava di come, a causa della spending review varata ad ottobre dal Governo Renzi, il centro di ricerca sperimentale coordinato dal dottor Giampaolo Grassi rischiasse di chiudere i battenti e di mandare conseguentemente in vacca (perdonate il francesismo...) quanto affermato dallo stesso governo solo una paio di mesi prima. Benvenuti in Italia.

Ad oggi non ci sono ancora stati chiarimenti sulla faccenda: le autorità tacciono e nemmeno a Rovigo sembrano capirci più di tanto. Stando a quanto afferma Gloria Riva nel suo articolo sul L'Espresso, “l’ospedale militare di Firenze dovrà essere istruito sulla coltivazione della canapa dal CRA CIN di Rovigo, il Consiglio per le Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura che fa parte del CNR. Si tratta dell’unico luogo in Italia dove la canapa indica, quella vietata in Italia, può crescere legalmente, essendo coltivata a fini scientifici. Peccato – continua – che questo istituto, che da lavoro a un ricercatore e due dottorandi, fra pochissimo potrebbe essere smantellato per colpa della spending review”. La struttura di Rovigo è infatti commissariata da tempo e, dal momento che lo Stato ha chiesto ai Ministeri di tagliare dove e più possibile, pare sia probabile che sarà una delle prime ad essere sacrificata.

Il paradosso – perché si sa che in questi casi, oltre al danno non si può mai evitate la beffa – è che il centro veneto ha i conti perfettamente (e miracolosamente) in ordine. La struttura costa 40 mila euro l’anno, a cui vanno aggiunti gli stipendi di 6 persone (1 ricercatore, 3 tecnici e 2 amministrativi), ma ha comunque entrate superiori ai 150 mila euro l’anno. Dal CRA CIN di Rovigo si fa sapere che: «Nel caso non fossimo in grado di continuare ad operare, il programma di produzione della cannabis medicinale non potrebbe essere avviato e di conseguenza nell'opinione pubblica farebbe certo un negativo effetto sapere che l'unico centro che poteva supportare la produzione di un farmaco tanto richiesto è stato chiuso per decisione del ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali». Il centro di Rovigo è infatti l'unico in Italia al momento a detenere e conservare in purezza le uniche otto varietà di canapa da fibra e, nonostante le scarsissime risorse a disposizione, è stato in grado di collocarsi negli anni come uno dei centri leader nella ricerca sulla cannabis; al punto che le varietà prodotte al suo interno sono in sperimentazione anche negli Stati Uniti e in Uruguay.

L’istituto di Rovigo ha una lunga e gloriosa storia: fondato nel 1912 dall’agronomo Ottavio Munerati come "Regia Stazione sperimentale di bieticoltura", dal 1968 opera congiuntamente all’Istituto di Allevamento Vegetale per la Cerealicoltura di Bologna diventando Istituto Sperimentale per le Colture Industriali. L’Istituto comprendeva 4 Sezioni Centrali (Biologia e difesa, Conservazione e trasformazione, Miglioramento genetico, Tecniche colturali) e 3 Sezioni Periferiche (Battipaglia, Osimo e Rovigo) e aveva il compito di provvedere agli studi ed alle ricerche riguardanti il miglioramento di specie, varietà e razze di piante industriali, la tecnica di coltivazione delle medesime, nonché la conservazione dei prodotti in rapporto ai rispettivi processi di estrazione e di trasformazione. Nell’ottobre 2004, l’Istituto Sperimentale per le Colture Industriali di Bologna è confluito nel CRA e nell’agosto 2007, con l’attuazione del piano di riorganizzazione del CRA, diviene Centro di Ricerca per le Colture Industriali ed ora, nemmeno 10 anni dopo l'ennesima riorganizzazione e a soli 3 anni dal centenario, l'Istituto rischia di chiudere i battenti per sempre.

Ad oggi l'Istituto ospita ai piani superiori i laboratori dove vengono selezionate le varietà e analizzato il contenuto dei principi attivi. Alcune stanze ospitano le "scorte" di cannabis del Centro: quelle con molto THC, molto cannabidiolo (l'ormai immancabile CBD) o cannabigerolo, che come sappiamo sono i “cugini minori” del THC in quanto non psicotropi. Da anni il team del dottor Giampaolo Grassi lavora sul raddoppio del corredo cromosomico delle piante di canapa, per riuscire ad ottenere una maggiore produzione di metaboliti. In altre stanze è invece possibile seguire passo dopo passo l’intero ciclo della pianta.

Un paradiso, insomma, per chiunque sia appassionato di growing; un inferno per chiunque avesse provato a carpire informazioni (o altro più gustoso) senza la debita autorizzazione. «L’intero complesso è vigilato e con allarmi – spiegava Grassi in un'intervista sul Corriere della Sera di un paio di anni fa –, all’interno abbiamo regole severe da rispettare sui controlli e la sicurezza. Il materiale che può contenere sostanze stupefacenti viene tenuto in frigoriferi o stanze con chiusura blindata, sotto protezione». Il cuore della produzione per uso farmaceutico, però, è la "serra controllata" creata in un capannone blindato. In un’atmosfera degna dei migliori Sci-Fi, sotto la luce giallognola delle lampade a 600 Watt che forniscono 25 mila lux, le piantine selezionate all’origine vengono allevate in ambiente quasi completamente sterile. «Qui non ci sono insetti, né possibilità di contaminazioni pericolose – ha spiegato più volte Grassi – e non usiamo prodotti chimici per trattare le piante. Per arrivare ad avere anche la produzione di un vegetale che poi possa essere trasformato o destinato a farmaco bisogna seguire delle procedure e ottenere un materiale che sia caratterizzato da livelli elevati di salubrità e di assenza di contaminazione. La pianta deve produrre il massimo e il prodotto deve essere uniforme in qualunque stagione e con qualsiasi temperatura. Una delle caratteristiche ricercate dal prodotto farmaceutico è proprio la costanza e la standardizzazione del principio attivo». Questo per dare la massima garanzia al paziente e al medico, sia sull’origine che sull’efficacia del farmaco. Se i malati recuperano la canapa dal mercato nero, sanno di rischiare, perché possono assumere qualunque tipo di sostanza, oltre ai cannabinoidi. E, com'è risaputo, certi signori non sono tanto ligi alle regole della buona pratica di produzione dei farmaci.

Ma quanta sostanza si può ottenere attualmente dal centro di Rovigo? Come ha più volte affermato Giampaolo Grassi, nella serra del CRA CIN vengono alleviate mediamente 150 piante. Ogni pianta produce una quantità di fiori, che è la parte più ricca e di interesse, per circa 30 grammi, per cui la resa totale di ogni ciclo dovrebbe aggirarsi sui 4,5 kili di materiale circa. Venduto a 3 euro al grammo, sono indicativamente 14 mila euro per ciclo (il prezzo del mercato nero è su per giù sugli 8/10 euro al grammo). «Con un lavoro intensivo, si è arrivati a produrre anche a 4 cicli l'anno – ha spiegato – dunque potremmo guadagnare circa 56 mila euro a serra. Con due serre potremmo ricavare il finanziamento che ci consente di stare in piedi da soli».

Ora, la spending review non è altro che l'edulcorata versione inglese per definire dei tagli al bilancio. Il deputato di SeL Arturo Scotto ha depositato lo scorso novembre un'interrogazione al ministro delle Politiche Agricole, Maurizio Martina, per chiedere chiarimenti a riguardo. Interrogazioni parlamentari a parte, passare dalla coltivazione della canapa sativa a quella indica, con alto livello di Thc e per uso medico, rischia di essere molto più complesso del previsto e nonostante le pressioni degli agricoltori la produzione di marijuana a scopo terapeutico potrebbe restare un sogno. Giusto per fare capire quanto è ingarbugliata la situazione, va detto che al centro di ricerca di Rovigo è da oltre cinque anni che i ricercatori tentano di attivare una start up per vendere la loro cannabis alle uniche due case farmaceutiche - Salars e Solmag - che realizzano quei medicinali. Ma il progetto non è mai decollato perché mancano le autorizzazioni ministeriali.

I frutti del centro veneto, infatti, servono solo a scopi di ricerca. Dunque la cannabis coltivata rifornisce il reparto di scienze farmacologiche dell’Università di Novara e qualche altra facoltà italiana. Questo perché, nonostante l’Istituto Superiore della Sanità abbia già consegnato ai ministeri della Salute e delle Poltiche Agricole i dati sui limiti e sulle specie coltivabili, i due ministeri non hanno ancora pubblicato delle linee guida a tal proposito. Era stato creato un comitato tecnico per definire i parametri per la coltivazione, ma da circa un anno e mezzo non si riunisce più, perché ogni volta la discussione si arenava sull’ipotesi che i derivati della canapa potessero avere effetti psicotropi. 

Questioni che in alti paesi europei, come la Germania, sono state risolte da parecchio e lì l’industria della cannabis sta fiorendo senza difficoltà. Da noi l’assenza di una norma chiara mette a rischio tutti i 300 coltivatori che si sono avventurati nella coltivazione della contrastata pianta. Non sono insoliti i casi di sequestri e ispezioni da parte delle forze dell’ordine su piantagioni destinate solo alla raccolta di semi per farne olio o per aromatizzare la birra, o per farne mattoni. In Italia risulta impossibile anche la coltivazione di canapa non stupefacente (sativa) per estrarne cannabidiolo ovvero CBD. Questa sostanza viene utilizzata per la realizzazione di alcuni farmaci contro l’epilessia, ma, non essendoci una legge chiara, è necessario importarlo dall’Inghilterra.

Così come il principio attivo utile per realizzare i farmaci affetti da patologie gravi come Sla, la sindrome di Tourette, l’Alzheimer, il Parkinson e diversi tipi di sclerosi come la sclerosi multipla. Anche qui va detto che alcune Regioni, prima fra tutte la Toscana, si sono imbarcate in una crociata per garantire il pagamento di questi farmaci a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Ma nonostante l’iter burocratico sia partito nel 2012 le risposte ancora mancano e così tre flaconi di Sativex, utili per alleviare i dolori provocati dal decorso dell’Aids, dalle malattie neurologiche e gli effetti collaterali della chemioterapia, costano al paziente 650 euro al mese. Infatti il Servizio Sanitario Nazionale garantisce il costo di una cura a base di cannabinoidi solo per alcune patologie specifiche, ma il loro utilizzo potrebbe essere esteso. 

In attesa di nuovi aggiornamenti...

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