Legge nuova, vecchia broda

Exitable
11 Sep 2014

Dopo l'abrogazione coatta della Fini-Giovanardi, l'Italia si è ritrovata orfana di una aggiornata legge sulle droghe. Il ritorno ad una norma varata nel 1990 rendeva necessario quantomeno un aggiornamento: anche se le istanze per adeguare il nostro paese agli standard europei di tolleranza non mancavano di certo, il giovanissimo governo del giovanissimo Renzi ha preferito chiudere la partita in fretta. Con la richiesta di fiducia a blindarne il contenuto e ad azzerarne praticamente il dibattito, il decreto Lorenzin è diventato legge lo scorso 14 maggio. Vediamo cosa è davvero cambiato.


Dopo l'abrogazione coatta della Fini-Giovanardi, l'Italia si è ritrovata orfana di una aggiornata legge sulle droghe. Il ritorno ad una norma varata nel 1990 rendeva necessario quantomeno un aggiornamento: anche se le istanze per adeguare il nostro paese agli standard europei di tolleranza non mancavano di certo, il giovanissimo governo del giovanissimo Renzi ha preferito chiudere la partita in fretta. Con la richiesta di fiducia a blindarne il contenuto e ad azzerarne praticamente il dibattito, il decreto Lorenzin è diventato legge lo scorso 14 maggio. Vediamo cosa è davvero cambiato.

Dopo l'abrogazione coatta della Fini-Giovanardi, l'Italia si è ritrovata orfana di una aggiornata legge sulle droghe. Il ritorno ad una norma varata nel 1990 rendeva necessario quantomeno un aggiornamento: anche se le istanze per adeguare il nostro paese agli standard europei di tolleranza non mancavano di certo, il giovanissimo governo del giovanissimo Renzi ha preferito chiudere la partita in fretta. Con la richiesta di fiducia a blindarne il contenuto e ad azzerarne praticamente il dibattito, il decreto Lorenzin è diventato legge lo scorso 14 maggio. Vediamo cosa è davvero cambiato.

Che la “war on drugs” sia miseramente fallita non lo dicono più solo gli antiproibizionisti ma schiere di nomi illustri tra premi Nobel, economisti, scienziati, capi di Stato e di Governo, funzionari, artisti e giornalisti. Non la pensa però allo stesso modo il Parlamento italiano dove, nonostante fossero state annunciate riforme epocali e a ritmo mensile, sulla questione cannabis il governissimo di Matteo Renzi ha fondamentalmente deciso di non decidere.

Passato al vaglio di Montecitorio con 335 si e 86 no, il decreto definito “Salute Omnibus” ha ricevuto anche l'ok un po' più risicato del Senato – 155 voti a favore, 105 contrari – e si è infine insediato come nuova normativa sulle sostanze stupefacenti, con l'iscrizione sulla Gazzetta Ufficiale, il 20 maggio. In molti hanno cantato vittoria alla notizia che la cannabis era tornata ad essere iscritta nella tabella delle droghe leggere ma, a ben guardare, la legge Lorenzin non pare discostarsi di molto dall'obbrobrio normativo che l'aveva preceduta. 

Stesso strumento legislativo sanzionato dalla Corte costituzionale non più tardi di tre mesi fa: riformulare una legge per decreto e porci addirittura sopra la fiducia è certamente una forzatura. Stesso impianto proibizionista: “si al possesso ma no allo spaccio” è un ossimoro bello e buono quando la sostanza resta relegata al mercato nero. Infine, stesse facce e stessi nomi: uno su tutti quello di Carlo Maria Giovanardi, nominato relatore in Aula, o per creare l'ennesima barzelletta da dare in pasto ai media stranieri, o piuttosto per ribadire lo spregio totale che la politica ha della giustizia. 

Ma andiamo un po' più nel dettaglio. Il testo di partenza da cui estrapolare la nuova legge era, o avrebbe dovuto essere, la Jervolino-Vassalli del 1990 così come emendata nel 1993 dal famoso referendum promosso dai Radicali – che in sostanza depenalizzava il possesso per uso personale di quasi tutte le sostanze, cannabis sopra tutte. Il governo, e successivamente il Parlamento, hanno invece deciso altrimenti, interpretando l'operato della Consulta non come un invito a regolare produzione, distribuzione e consumo ma come un semplice aggiustamento al ribasso delle sanzioni penali, di quelle penali pecuniarie e di quelle amministrative. Ma, a onor del vero, avrebbe anche potuto andare peggio.

La prima bozza del testo della nuova legge prevedeva il raggruppamento di tutte sostanze in sole due tabelle, invece che le quattro previste dalla Iervolino-Vassalli. Una mossa che per “acume” e spirito non poteva che portare la firma di Carlo Giovanardi: sicuramente indispettito per essere stato cancellato assieme al socio Fini dal codice penale, il nostro affezionatissimo sperava di re-impiantare il suo seme ultra proibizionista nel nuovo impianto legislativo, trasformandosi così in un boomerang e riuscendo nell'impresa di uscire dalla porta della Corte Costituzionale e rientrare dalla finestra del Parlamento. C'è voluto il veto del ministro della Giustizia Andrea Orlando per stroncare questo scempio e far riformulare il testo: lasciando intatto l'impianto a due tabelle si sarebbe ritornati alla parificazione di tutte le sostanze, senza distinguere tra droghe pesanti e leggere, e quindi essenzialmente si sarebbe ritornati alla Fini-Giovanardi. Prendendo in prestito da Internazionale un utilissimo riassunto di cosa prevede il decreto Lorenzin, possiamo individuare cosa il Governo e il Parlamento sono riusciti a fare nei cinque giorni in cui il testo è stato discusso in Aula. 

Cinque sono i punti salienti:

  1. Introduzione di nuove tabelle (cinque in totale) per la classificazione delle droghe e reintroduce la distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere, abolita dalla legge Fini-Giovanardi. La I e III tabella raggruppano le droghe pesanti, la II e la IV quelle leggere. La V riguarda le droghe a uso terapeutico. Le tabelle regolano le circa 500 sostanze classificate dal 2006.
  2. Nella tabella I (droghe pesanti) rientrano gli oppiacei naturali o sintetici; le foglie di coca e gli alcaloidi derivati; le anfetamine; tutte le droghe sintetiche a base di tetraidrocannabinolo (THC, principio attivo della cannabis “sintetica” secondo il testo e secondo il legislatore, evidentemente più che disinformato) e ogni altra sostanza che produca effetti sul sistema nervoso centrale e abbia capacità di determinare dipendenza fisica o psichica.
  3. Nella tabella II (droghe leggere) rientra la cannabis senza distinzione tra indica, sativa, ruderalis o ibrida.
  4. È vietata la vendita e la coltivazione di queste sostanze sul territorio nazionale. Mentre l'acquisto o la detenzione di sostanze per uso personale non ha rilevanza penale. Rimangono in piedi le sanzioni amministrative che avranno però durata variabile a seconda che si tratti di droghe pesanti (da due mesi a un anno) o leggere (da uno a tre mesi).
  5. La vendita di piccole quantità di droga prevede la reclusione da sei mesi a quattro anni e una multa da 1.000 a 15.000 euro. L'arresto sarà possibile solo in caso di flagranza. Il reato non distingue tra droghe leggere e pesanti, spetterà al giudice decidere l'entità della pena in base alla qualità e alla quantità della sostanza e alle altre circostanze di ogni singolo caso. La riduzione della pena prevista per lo spaccio di droga permette di ricorrere alle pene alternative al carcere, previste dal decreto approvato a febbraio del 2014 sulle politiche carcerarie. Chi è condannato per questo reato potrà accedere alla messa alla prova, quindi all'affidamento ai servizi sociali.

Ora, che qualcosa sia veramente cambiato dalla precedente legge liberticida sulle droghe è affermazione ardua, ridicola se confrontata con le promesse riformiste di quello che a tutti gli effetti è uno dei Governi più giovani d'Europa. La prima cosa ovvia che è balzata agli occhi di noi di Soft Secrets è stata che la coltivazione domestica di canapa resta un reato penale. Oggi come ieri e come l'altro ieri, la stessa quantità di canapa per uso personale, trovata in tasca o in casa, se deriva da un acquisto in piazza è illecito amministrativo, se coltivata in proprio è reato penale. Questo mentre si riconosce universalmente che un primo passo graduale di uscita dalla scellerata strategia persecutoria messa in moto 50 anni fa è esattamente la legalizzazione della coltivazione per uso domestico.

Stando a quanto stabilito dal referendum promosso dai radicali nel 1993, l’uso personale non è proibito e non dà automaticamente luogo all’arresto se non in flagranza di reato, ovvero non vi possono fare quasi nulla a meno che non vi becchino coi soldi nella destra e la bustina (o il bustone) nella sinistra. Contrariamente a quanto abbiano affermato trionfanti certi colleghi ottimisti, questo non equivale a dire “liberi tutti”: ancora oggi è possibile che ci levino patente, passaporto, paternità, maternità, che ci facciano perdere il lavoro, la famiglia, che ci riducano a reietti della società o ci spediscano in una comunità terapeutica, che ci facciano analizzare tutte le settimane e impongano l’obbligo di firma. E scusate se è poco.

Resta poi vietatissimo e dà luogo a sanzioni penali, coltivare, produrre, fabbricare, estrarre, raffinare, vendere, offrire o mettere in vendita, cedere o ricevere a qualsiasi titolo, distribuire, commerciare, acquistare, trasportare, esportare, importare, procurare ad altri, inviare, passare o spedire in transito, consegnare per qualunque scopo o comunque illecitamente detenere, quantità che non sono ancora fermamente stabilite, e che potrebbero anche cambiare a sorpresa e a piacimento di questo o quel Governo.

Certo, le pene per quanto riguarda la cannabis sono diminuite. Se prima erano previsti dai sei ai venti anni con la Fini Giovanardi, ora il peggio che vi possa capitare è subire una condanna di “soli” sei anni (più 77.468 euro di multa), e al meglio di due (più 5.164 euro di multa); aumentano invece le pene per tutte le altre sostanze, e per qualche tiro di coca o qualche pasticca vi potreste sempre  beccare la reclusione da otto a venti anni e la multa da 25.000 a 250.000 euro circa.

Per le “droghe leggere” diminuisce anche il periodo per il quale è possibile essere sottoposti a sanzioni – diminuiscono quindi i tempi di prescrizione – nel caso in cui riusciate a pagarvi un buon avvocato e a dimostrare l’uso personale, ma ce n’è comunque abbastanza per rovinarvi la vita. Per armonizzare con i decreti svuotacarcere questa legge, che definire “raffazzonata” è un eufemismo, resta in vigore l’eccezione della lieve entità, equiparata per pesanti e leggere. Ovvero, se foste trovati in possesso di un grammo di “droga” – sia essa cannabis, cocaina, eroina o ketamina – probabilmente subireste lo stesso trattamento perché, con una incoerenza da fare invidia alla vita sentimentale delle sorelle Kardashian, la distinzione tra droghe pesanti e leggere vale solo a livello di tabelle. Nemmeno in questa legge, infatti, sono stati posti dei limiti chiari al consumo personale: due, cinque, dieci grammi? Non ci è dato sapere.          
Dopo questa tragicomica disamina, sembra evidente come in questa nuova legge l'approccio proibizionista resti fondamentalmente intatto e altrettanto ben presente quello sanzionatorio e repressivo È oltretutto evidente l'immensa ignoranza (o la malafede) del legislatore nel momento in cui decide di abbracciare teorie più che confutate in merito di cannabis (per approfondire leggete a pagina 43) e, pur ponendola nominalmente nella tabella delle droghe leggere, la definisce droga pesante nella misura in cui è frutto di una pianta ibridata con alto contenuto di THC. 

Per una volta, la necessità e l'urgenza del decreto c'erano tutte, ma occorreva cogliere l'occasione del vuoto legislativo per aggiornare una delle peggiori leggi al mondo in materia di sostanze stupefacenti a quanto di più efficace ed efficiente esiste nel resto d'Europa. Ecco quali avrebbero dovuto essere i cinque punti che un Paese civile avrebbe idealmente adottato, anche e soprattutto per compensare gli otto anni di disastri della Fini-Giovanardi:

  1. Totale depenalizzazione della produzione, consumo e commercio dell'uso personale di tutte le sostanze, come da referendum di 21 anni fa
  2. Legalizzazione e regolamentazione dell'uso medico e scientifico delle piante contenute nelle varie tabelle e loro derivati 
  3. Raccolta ed elaborazione dati relativi al fenomeno delle dipendenze secondo i più alti standard scientifico-statistici passibili di verifica indipendente
  4. Promozione di programmi di cura con sostanze e/o loro sostituti sia per terapie a scalare che per quelle a mantenimento, in altre parole: investimento di risorse umane e finanziarie nei servizi per le tossicodipendenze
  5. Trasformazione del Dipartimento per le Politiche Antidroga in Dipartimento per le Politiche sulle Droghe, possibilmente diretto da un responsabile con competenze scientifiche di chiara fama nazionale e internazionale, e da porre sotto il controllo delle competenti commissioni parlamentari.

Possiamo capire che la conversione del decreto Lorenzin sia avvenuta nel pieno di una campagna elettorale. Capiamo anche che questa legge è stata discussa e approvata da forze politiche che in materia di sostanze stupefacenti hanno visioni diametralmente opposte, anche se non certamente antiproibizioniste. Ma far passare questa modifica legislativa come una proposta di bilanciato buon senso ci pare – scusate il francesismo – una colossale presa per il culo. In Italia non c'è davvero limite al peggio.

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