Il proibizionismo è un serial killer. Sulla morte di un ragazzo

Soft Secrets
20 Jun 2012

Il proibizionismo è un serial killerUn ragazzo si butta dal balcone


Il proibizionismo è un serial killerUn ragazzo si butta dal balcone

La tragica notizia del ragazzo quindicenne che si è gettato dal balcone di casa, dopo aver appreso della sentenza che lo condannava a 4 mesi di “reclusione” presso una comunità di recupero, è quasi passata inosservata se escludiamo la stampa locale, i vari blogs antiproibizionisti in rete e il piccolo articolo pubblicato da “la Repubblica” ma solo nell’inserto diffuso a livello regionale:

Eppure, non vengono lesinate le scene drammatiche nelle nostre TV e ci sembra che la fame di notizie raccapriccianti, siano ambite dai giornalisti di cronaca nello stesso modo in cui Dracula andrebbe a caccia di sangue, eppure questa storia è stata “snobbata”, in fin dei conti di “droga” e di “drogati” si parla e oltretutto di un quindicenne “già traviato”, che invece della compassione, esercita un deprecabile giudizio nella convenzione sociale.

Decidere di morire per non dover subire una ulteriore vergogna, oltre quella di essere accusato di micro-criminalità davanti ai suoi genitori e per non dover sopportare ingiustamente la privazione della libertà, che è sempre preziosa, ma a 15 anni è addirittura indispensabile per poter iniziare a sperimentare la vita, dovrebbe invece far riflettere sullo stato del rapporto nelle famiglie, su quello tra minori e Stato e su quello tra Stato e Stato di Diritto.

Se noi andiamo ad analizzare il corpo del reato è sicuramente esagerato, 78 piante sono difficilmente difendibili nell’uso personale, ma parlando di un ragazzo di 15 anni possiamo solo dedurre che abbia esagerato nella sua voglia di trasgressione e che magari avrà immaginato di poter soddisfare anche la curiosità dei suoi amici, di certo, nei panni di un pericoloso spacciatore non riusciamo proprio a vederlo.

E così deve essere stato anche per il Giudice, che saggiamente gli ha evitato il riformatorio, ma che altrettanto stupidamente ha pensato che una punizione dissuasiva tramite l’obbligo di frequentazione di una Comunità, il ragazzo se la meritava tutta!

Sinceramente non so se la psicologia rientri tra le materie da studiare nella facoltà di Giurisprudenza, ma se così non fosse bisognerebbe renderla obbligatoria e assicurarsi che chiunque sia chiamato a decidere del destino degli altri, ne conosca profondamente il senso e gli strumenti per applicarla.

Il Giudice avrebbe dovuto comprendere la “ragazzata”, l’”esagerazione degli adolescenti”, che già la perquisizione in casa dei genitori e la mortificazione che aveva creato in famiglia sarebbero forse potuti essere sufficienti, avrebbe potuto analizzare maggiormente la “qualità” della famiglia ed ammonire sia il ragazzo e sia i genitori per un maggior controllo, ma invece ha scelto una via che a lui sembrava “saggia”, ma che saggia non era, visto che non era riuscito a comprendere la sensibilità del giovane.

Vorremmo dire di più, avrebbe forse dovuto apprezzare il fatto che il ragazzino non si servisse dell’usuale mercato criminale che spaccia in ogni angolo di ogni piazza d’Italia e avrebbe potuto rallegrarsi del fatto che i quel campo non c’erano né eroina e né cocaina, come invece ci sono in ogni angolo di ogni piazza d’Italia, e avrebbe potuto chiudere la vicenda con un semplice “cartellino giallo”, valutando che forse il ragazzo aveva solo “giocato a fare il ribelle”!

Ma oggi la tendenza in atto nei confronti di chiunque abbia a che fare con la cannabis sta mutando e l’episodio del giovane bergamasco rientra nella nuova logica, quella di trasformare pian piano il consumatore di cannabis, da criminale a malato, indipendentemente dall’età, dalla professione e dalle qualità dell’individuo, e nonostante siano molti gli operatori di Comunità ad affermare che nei confronti della cannabis non esiste terapia perché non esiste assuefazione!

Ci auguriamo che il giovane possa riprendersi e che nel tempo possa addirittura riassorbire il trauma psicologico che questa storia ha innescato sia in lui che nei suoi genitori e a questi ultimi volgiamo solo esprimere la nostra vicinanza per aver dovuto subire una tragedia evitabile dal semplice Buon Senso!

Ma i firmatari di questa legge infame che provoca drammi e tragedie in continuazione, ce l’hanno una parvenza di coscienza?

Loro che si reputano “cristiani” e “cattolici”, sanno che cosa è la compassione?

Riescono a provare vergogna per quanto hanno fato di fronte a queste tragedie?

Ma oltre alla vergogna che dovrebbero provare questi due illuminati legislatori, che dire del senso del ridicolo a cui si espone il DPA con articoli come: “Marijuana: consumatori a rischio di suicidio

…peccato che il suicidio o tentativo di esso non venga causato dalla pericolosità della marijuana, ma da quella ancora più dannosa delle politiche del DPA e dalla legge che le ispira!

Giancarlo Cecconi – ASCIA

S
Soft Secrets