Storia italiana: Lettera sull'Hashish del 1847 del Dott. Andrea Verga

Soft Secrets
17 May 2019

Per ripassare un poco di storia del nostro Paese e divulgare della cultura vi riportiamo la relazione del Dott. Andrea Verga di Milano, pubblicata sulla Gazzetta Medica di Milano il 25 Giugno 1847, inerente gli effetti dell'hashish su alcuni pazienti


Caro Bertani*,

Ti mando per la tua accreditata Gazzetta il processo verbale di una lunga seduta, che ebbe luogo la sera del 10 andante in una sala dell'albergo al Regno Lombardo Veneto di Porta Tosa. Bada che io non ischerzo, e che tu non devi confondere cotesta seduta colle mille ed una che ivi succedono tutti i giorni. Fu una seduta scientifica al paro di quelle che si tengono periodicamente nelle sale della Società d'Incoraggiamento al Palazzo Durino, e vi presero parte attiva alcuni membri distinti della stessa Società. Scopo infatti della seduta era di fare esperienza del modo di agire dell'haschisch, preparazione particolare, le cui virtù si vogliono attribuire ad un estratto della canape indiana fatto col burro ed impastato col miele e con altre sostanze. Non fa bisogno di dire a te, che vivi nell'abbondanza di giornali di ogni sorta, quel che sia stato scritto sull'haschisch da molti giornalisti e specialmente dal sig. Moreau di Tours. Credo però importante di richiamare alla tua memoria che gli Arabi lo prendono per accrescere la gioja dei convegni e dei conviti, e ne ajutano l'azione colla vivacità dei discorsi, colla luce dei doppieri e colle tazze di caffè; e che Moreau di Tours afferma che l'haschisch produce un delirio, che non differisce dalla follia che per la minor durata. Così non ti meraviglierai che io abbia assistito a quella seduta e che essa abbia avuto luogo tra la spuma dei bicchieri ed il fumo delle vivande. - Il vino è necessario, dicevam noi tutti: chi prende l'haschisch avrà in questo inebbriante nostrale un potente e grato ausiliario; chi sta a vedere potrà col vino far un po' di festa ad una esperienza che forse si fa per la prima volta tra di noi. E se il vino avesse una virtù antagonista e impedisse gli effetti dell'haschisch, non sarà questa una preziosa cognizione che acquisteremo, un nuovo fatto da registrarsi alla partita del controstimolo di sempre gloriosa memoria? - Ma non devi credere che alcuno di noi abbia ecceduto nell'uso del vino: tutti bevettero presso a poco quella dose alla quale sono abituati, e siccome tre soli presero l'haschisch, era facile con opportuni confronti il cavarci all'uopo da ogni dubbiezza. Eccoti ora il processo verbale della seduta. Intervennero alla cena i dottori Morardet, Perini, Gio. Polli, Verga, Viglezzi, ed il prof. Francesco Viganò: ma il cibo indiano era riserbato al profess. Viganò e ai dottori Morardet e Polli. Quest'ultimo, il quale da alcuni negozianti di Alessandria di Egitto aveva ricevuto coll'haschisch le istruzioni per adoperarlo con frutto, incominciò a fare da presidente, ma indovinerai che egli non potè durare a lungo nella sua carica. Io mi trovai, non so come, segretario della seduta o attuaro o stenografo che dir tu mi voglia, e avea davanti sulla stessa linea il piatto e la carta, il bicchiere ed il calamajo, la penna e la forchetta. Alle otto ore e mezza il dott. Polli ammanì il primo piatto svolgendo da un cartoccio una dose di haschisch di circa un'oncia e dividendola in tre parti eguali. E' una sostanza di color biondo sporco, alla quale son frammisti dei pezzetti bianchi e verdognoli che si giudicarono pinocchi e pistacchi; il suo sapore è dolciastro, la consistenza quella di un elettuario. Se qualche autore la descrisse un po' diversamente io non ne ho colpa. Il professore Viganò stese subito la mano ad una porzione: Morardet e Polli fecero altrettanto, e tutti e tre aspettarono pacificamente che fosse servito in tavola e che il meraviglioso estratto spiegasse con suo comodo la propria virtù. Ora permettimi, o caro, che io ti parli dei tre esperimentatori senza nominarli, chiamando per esempio uno A, l'altro B, il terzo C. E' un rispetto che io devo ai miei colleghi, e che non toglie punto alle conclusioni che si possono trarre dallo sperimento. A, sul punto di prendere l'haschisch aveva calore maggior del naturale, polso un po' agitato, e si sentiva melanconico e fiacco. Versò sopra l'haschisch qualche sorso di acqua e di vin bianco avidetto: provò un vellicchio passeggero allo stomaco e dopo circa un quarto d'ora si mise a mangiare con appetito e fu quello che sentì più pronti, più forti e più durevoli gli effetti dell'haschisch. B, avendo supplito al pranzo con un sigaro ed essendo appena smontato di carrozza per un viaggiodi alcune miglia accusava un freddo generale; il suo polso era piccolo, profondo, e lento anzichè no. Dopo pochi minuti dalla presa dell'haschisch scaricò largamente il ventre; aveva la bocca cattiva ed oltre il vellicamento allo stomaco accusava della nausea ed un bisogno di far ogni tanto delle profonde inspirazioni. Mangiò e bevve assai moderatamente e più che i suoi due consorti resistette all'azione dell'haschisch. C, per aver appena fumato un sigaro si sentiva debole di gambe, come tutte le volte che gusta tanto o quanto la nicoziana: il suo polso però non aveva nulla di particolare nè pel ritmo, nè per la frequenza, nè per la vibrazione. Soprabbevve all'haschisch una tazza di caffè, e per qualche tempo disse di sentire la pasta indiana incollata come un affisso alle pareti dello stomaco. Il che non gli impedì di mangiare e bere, forse meglio di tutti. In lui l'azione dell'haschisch fu più pronta che in B, più tarda che in A, e più fugace che in ambedue. Fenomeni comuni a tutti e tre furono: un calore insolito alla testa, sebbene nessuno presentasse il viso turgido e gli occhi injettati dell'ubbriaco; un senso di benessere e di vigoria non mai provato ed una smania di parlare quasi irresistibile; una tendenza a prendere tutto in buona parte, per cui indarno si tentò di turbare la loro felicità con proposizioni offensive. In tutti i polsi si mantennero molli e le pupille alquanto dilatate. In nessuno vi fu una palese allucinazione, forse perchè in nessuno il delirio toccò una sufficiente altezza: solo parve a C di mettere il cappello sopra un tavolino dove non vi era che un basso canapè, ma egli si trovava in un angolo della sala poco illuminato e del resto prima di abbandonare il cappello s'era già accorto dell'errore. Nessuno perdette la coscienza di sè, e parve anzi che tutti fruissero quasi di una lucida visione degli atti interni. Nessuno sentì esaltarsi il proprio erotismo o crescere l'inclinazione al sonno, chè anzi dormirono in quella notte meno del solito. [264] Ora dirò i fenomeni particolari di ciascuno. A sentiva una voglia infrenabile di ridere, di parlare e di stropicciare i piedi contro il pavimento. Egli ci parlò più volte di certe ondate di piacere, alle quali era costretto di lasciarsi andare e dalle quali presto si riaveva. Parevagli di esser diviso in due parti, una che ragionava ed osservava, ed un'altra che delirava e smaniava. Le parole gli scappavan di bocca prima che egli avesse dato l'assenso alle idee che esse erano destinate a rappresentare e gli si paravano davanti come un gregge sbandato. Cominciava molte frasi che gli sembravano sublimi o piene di sale e si meravigliava che in nessuno eccitassero l'ammirazione od il riso. Il suo discorso, interrotto ogni tanto da qualche cantilena o da motti francesi, era un dentro e fuori, un'accavallarsi di idee tutte allegre, uno scherzare specialmente sui vocaboli con tanta rapidità di pensiero, che gli faceva sembrare lentissimo il tempo e gli impediva di spacciare i piatti con eguale prontezza che gli altri. B fu lungamente taciturno, ma confessava di essere in uno stato di piacevole abbandono e di tacere per egoismo. Pratico dell'oppio e de' suoi effetti, avendolo portato in alcune circostanze fino a 140 grani al giorno, diceva di essere in uno stato ben diverso da quello che il medesimo suol produrre. Più tardi, allorchè aveva quasi perduto la speranza di provare gli effetti vantati dal suo compagno, si sentì leggerissimo, si paragonava ad uno zeffiro e sfidava gli altri al corso. Bisogna conoscere personalmente l'individuo per dir subito che egli burlava, o che già era sotto l'influenza dell'haschisch. E lo era veramente, perchè ad un'epoca più avanzata fece mostra di straordinaria memoria e di spiritosa facondia. C diceva di sentirsi in pace coll'atmosfera e di notare in sè stesso una ricorrenza ostinata delle stesse idee separate fra loro da ondate di nero, e si sforzava di farci comprendere certe quistioni finissime tra l'io e il non me, tra l'io visibile e l'io invisibile. Tanto era la sua beatitudine che esaltava l'ebbrezza dell'haschisch sopra quella di tutti gli inebbrianti conosciuti, perchè egli aveva la parola pronta e sapeva dar ragione di tutto e tacere anche se occorresse, e infatti messo alla prova si tenne in silenzio per quasi una mezz'ora. Perciò egli proponeva l'haschisch come un ottimo stimolo per chi si accinga a pubbliche discussioni. Ad onta però di tante lodi e di sì onorevole proposta si vedeva anche in lui una incertezza di pensiero ed una oscillazione di coscienza, alla quale indarno cercava di rimediare con sinonimi e con proteste ripetute. Alla debolezza delle gambe era sottentrata una leggerezza eterea ed una strana alacrità; ma avendo subito dopo la cena fumato un sigaro, l'incanto in pochi minuti si sciolse. Sentì qualche cosa discendere dalla testa ai piedi e diventò terreno come prima. Due giorni dopo tutti ricordavano nettamente i fenomeni da loro provati, ed io da un breve abboccamento con ciascuno potei raccogliere quanto segue a complimento della mia relazione. In A possiamo dire che la scena si chiudesse con abbondante flusso di orine e con un male di testa, che durò tutto il domani, e fu accompagnato da una imperfetta padronanza di sè. Alla notte avea dormito, ma il sonno era stato leggerissimo e tutto sogni deliziosi. In B finì con tale senso di prostrazione che si sentì obbligato a prendere un punch. Con questo stimolo si conciliò un po' di sonno, ma dormì pochissimo e allo svegliarsi sentissi ancor fiacco, sebbene la mente si fosse ricomposta. In C terminò istantaneamente come abbiam detto. Egli dormì men profondamente del solito, e alla mattina si svegliò colla solita facilità alla solita ora, ma con un ronzio sottile nella testa, al quale per altro va soggetto tutte le volte che si dà ad una seria meditazione. Se tu mi domandi ora quale delle sostanze conosciute in medicina si possa paragonar l'haschisch, ti dirò di non saper nulla. Se rifletto che B lo trovò affatto diverso dall'oppio e che la di lui fisionomia e quella dei suoi compagni non era la fisionomia degli ubbriachi e che in nessuno di loro la lingua e le gambe e la coscienza diedero alcun segno di quell'indebolimento tanto comune agli avvinazzati, sarei tratto dall'altalena del dualismo farmaceutico a concedere all'haschisch un'azione analoga a quella dello stramonio e della belladonna. Così si spiegherebbe come gli Arabi accrescano l'azione dell'haschisch con larghe bevute di caffè e come in questa cena, nella quale si diede preferenza al vino, abbia spiegato poca attività: si verrebbe eziando a spiegare il senso di peso allo stomaco, la mollezza dei polsi, la dilatazione della pupilla, il sonno ritardato e leggiero, la consecutiva prostrazione di forze, ec. ec. B è tanto persuaso della virtù controstimolante dell'haschisch, che ha già pensato a farne venire una nuova dose per esperimenti, che la confermeranno. Ma intanto a questa nostra idea si opporrebbe il fatto di C, il quale dopo aver fumato un sigaro sentì cadere, per così dire, i trampoli che l'haschisch aveva prestati alla sua mente ed al suo corpo, e tornò in un attimo l'uomo di prima; cosicchè il tabacco che si ritiene un controstimolo, come lo stramonio e la belladonna, sarebbe per lui in perfetto antagonismo all'haschisch, il vero antidoto del delirio da esso cagionato. Avvi di più. Lo stramonio e la belladonna producono il delirio in un modo sgarbato e sono così infensi all'organismo che vennero annoverati tra le sostanze virose o tra i veleni. A detta invece dei nostri tre esperimentatori gli effetti dell'haschisch sono una dolcezza da paradiso, per cui durante i medesimi uno di loro gridava di voler far venire così beatifica sostanza a tonnellate. L'haschisch pertanto vorrebbe essere collocato in una nicchia particolare al di sopra di tutte le sostanze inebbrianti. Per altro alcuni incomodi risentiti da' miei tre amici non mi permettono di approvare intieramente le laudi che ne ha cantate Moreau di Tours. Secondo lui non solo la presa dell'haschisch è senza inconvenienti, ma trasporta in un mondo di felicità ineffabile, e non lascia alcuna molestia nè stanchezza. Questo panegirico riceve una mentita da quel senso di peso e di vellicamento allo stomaco, onde tutti furono un po' disturbati al principio, da quella cefalea che afflisse A per tutto il giorno successivo e da quella spossatezza alla quale B fu costretto di riparare con un punch. Clot-Bey, che molto prima di Moreau attribuì gli stessi vantaggi all'haschisch, confessa però che, al paro di tutte le sostanze che eccitano fortemente il sistema nervoso, esso finisce coll'istupidire chi sovente gli dimanda l'ebbrezza. Quanto all'altra idea di Moreau, che riguarda il delirio dell'haschisch come identico alla follia e tale da dar l'esperienza della follia a chi lo prese una volta, non oserei rigettarla per il dubbio che l'haschisch adoperato dai nostri tre esperimentatori o non fosse di perfetta qualità o in dose insufficiente; nè d'altra parte vorrei ammetterla, perchè non l'ho verificata. Essi non passarono dalla gioja e dall'esaltamento alle idee erronee, allo sviluppo del senso dell'udito, alle convinzioni deliranti, alla lesione delle facoltà affettive, e finalmente alle allucinazioni, le quali fasi diverse dell'azione dell'haschisch si riproducono, secondo Moreau, in tutti coloro che lo prendono, qualunque sia la costituzione individuale dei medesimi. Io vidi nei miei colleghi l'esaltamento e le idee rapide e turbinose e la loquacità dei maniaci, ma non mi accorsi di idee erronee, di convinzioni deliranti, di allucinazioni. Ammirai la loro beatitudine, cui nessuna osservazione e nessun accidente poteva turbare, ma non mi accorsi di alcuna di quelle lesioni degli istinti e della volontà che tanto frequentemente complicano la pazzia. Quello di che durante e dopo l'esperimento fecero solenne testimonianza A e C, è la proprietà di raddoppiare il nostro io e di farci consci di delirare. L'uomo agitato da forte passione, l'ubbriaco, il febbricitante, tutti hanno più o meno la coscienza dell'esercizio disordinato delle loro facoltà mentali, ma l'uomo in preda all'haschisch sente più chiaro lo scompiglio delle proprie idee, la soverchianza delle proprie parole e se ne rende conto, e di tratto in tratto può mettere un po' di ordine a quelle, un po' di freno a queste. Identico fenomeno si osserva nella mania vaga, specialmente sul principio e sul declinare della medesima. Il maniaco si scusa spesso delle stravaganze che dice o commette, coll'esclamare che è pazzo, che lo fanno impazzire, che l'han fatto diventar pazzo. Quando è guarito capisce che egli era violentato da un'altro sè stesso, e può sovente raccontare per filo e per segno tutto quello che gli è capitato. Ma la follia artificiale dell'haschisch, oltrecchè è passeggera e senza pericolo, è più serena e quindi più istruttiva, perchè ci permette di seguir l'io che delira in tutti i suoi avvolgimenti. Sotto questo rapporto l'haschisch è un prezioso acquisto per il medico, non meno che per il farmacologo; e se è vero che chi sostenne una malattia è in grado di conoscerla e di curarla meglio degli altri, puoi ben immaginare che io non lascerò scappare l'occasione di procacciarmi con una mania provvisoria la chiave per entrar meglio nei misteri della vera e stabile pazzia. *: il Dott. Bertani era collega del Dott. Verga, nella presente vi è una corrispondenza tra i due

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