Proibizionismo e violenza di genere: tra informazione e stereotipi

Soft Secrets
07 Mar 2019

Ottimi spunti di riflessione sulla violenza contro le donne sono risuonati a Grosseto il 22 ottobre nell’ambito di un corso per giornalisti promosso dalla locale Olympia de Gouges in collaborazione con i centri antiviolenza. L'associazione si ispira alla famosa intellettuale francese ghigliottinata all’indomani della Rivoluzione francese per aver difeso i diritti delle donne e dei neri.


Protagoniste del corso di informazione per giornalisti Sabrina Ganaglianone, Giuliana Gentili dei centri antiviolenza della Maremma toscana e Nadia Somma, autrice di "Le parole giuste. Come la comunicazione può contrastare la violenza maschile contro le donne". In sala anche Luca Mantiglioni giornalista della Nazione in rappresentanza dell’Ordine dei Giornalisti della Toscana. Nonostante la Carta di Treviso e di Venezia tutelino donne e minori rispetto a gli abusi a mezzo stampa la situazione non è ancora favorevole alle vittime con esempi veramente raccapriccianti descritti dalle relatrici. Il dato positivo è per contro la rinascita di un movimento delle donne che si sta dimostrando uno dei principali motori di cambiamento nella nostra società, grazie alla capacità di mettere a nudo le contraddizioni del sistema di violenza istituzionale in cui siamo costretti a vivere. La violenza di genere e la sua rappresentazione nei mass-media è un fenomeno importante anche per le sue implicazioni rispetto alla stigmatizzazione e alla criminalizzazione dei soggetti coinvolti nel mercato clandestino delle sostanze. Come denuncia il giudice Paola De Nicola nel suo ultimo lavoro, "La tua parola contro la sua", senza una certa omertà maschile non sarebbe spiegabile come solo il 7% dei casi di violenza sia affrontato nei tribunali italiani con un misero 3,5% dei casi arrivati effettivamente a giudizio. Nel caso della violenza alle donne non si tratta di crimini consensuali come quelli riguardanti la cannabis, come ho tentato di spiegare alla dottoressa De Nicola. Ma anche qui vige una certa complicità tra media e tutori dell’ordine che si traduce in fatti concreti, in sofferenze altrimenti evitabili, come ad esempio nella scelta delle parole riguardanti la canapa o la ricezione passiva delle veline delle forze dell'ordine. Il mondo dei media, che tanto deve alla isteria anti-cannabis degli anni Trenta negli USA, molto spesso tende ad incolpare le donne vittime di violenza e a fornire delle attenuanti per i perpetratori maschi. Come nel caso delle ragazze americane stuprate da appartenenti alle forze dell’ordine a Firenze e che secondo alcuni giornali avrebbero sottoscritto delle polizze assicurative in tal senso prima di entrare nel nostro paese. Accusate per altro di venire a Firenze per sballare. Gli stereotipi diffusi nei confronti delle donne che se la sarebbero cercata sono tuttora molto diffusi, anche nel genere femminile denunciavano le relatrici. Ne è un esempio l'utilizzo del termine “raptus” notoriamente inconsistente. E pur essendo chiaro come le donne non siano certo desiderose di essere uccise o violentate, i media esibiscono spesso la teoria dello scoppio improvviso di zero validità scientifica mentre è noto come la maggior parte dei casi si verifichino nelle relazioni familiari e di convivenza. Indubbiamente le protagoniste del dibattito hanno scoperto un nervo sensibile in alcuni giornalisti Lo stesso Luca Mantiglioni si è innervosito tanto da aver rivendicato la libertà di poter tranquillamente sbattere in prima pagina con nome e cognome il primo disgraziato beccato con qualche grammo di cannabis da lui chiamata marijuana, una battuta fatta forse per scaricare uno stato d’animo particolarmente combattuto da chi si ritiene sostanzialmente una persona normale. Lo stesso giornalista insisteva sul carattere patologico dei violentatori mentre le donne ribattevano come il femminicidio costituisca una costante della nostra società, una circostanza preceduta da una lunga storia dal matrimonio riparatore allo jus cogendi, all’abolizione del genere femminile dai codici che non prevedono che l'omicidio sia attuato che sull'uomo come riportava la De Nicola. Nadia Somma da brava giornalista ha sezionato anche con il suo libro le strategie di molti giornali tesi a de-umanizzare le vittime e ad offrire delle valide attenuanti agli assassini le cui azioni non sono che l’epilogo di una lotta per il controllo della mente e del corpo delle donne. Senza stabilire dei collegamenti troppo meccanici esiste indubbiamente una questione di genere nelle donne che consumano sostanze illegalizzate e che si rivolgono ad un mercato nero degli stupefacenti, zona di predominio maschile, dove la violenza o per lo meno il ricatto sono sempre possibili. “Le parole giuste. Come la comunicazione può contrastare la violenza maschile contro le donne” rappresenta quindi un’opera veramente indispensabile per capire come si possa migliorare il livello comunicativo e le capacità critiche della società. Uno spunto interessante anche per il movimento antiproibizionista per implementare la riflessione anche sul carattere di genere dell’oppressione più generale. Una iniziativa, quella di Grosseto, che potrebbe ispirare anche il movimento antiproibizionista a stimolare e proporre dei corsi per i giornalisti per abbattere lo stigma e l'omertà che circonda questi temi considerati spesso schifosi o ripugnanti. Una riflessione in più anche a vista delle tante donne violentate, aggredite o molestate dopo che erano andate a procurarsi le sostanze in ambienti dominati dalla violenza tipica dei luoghi in cui si sviluppa il mercato nero. Un monito in più per riconsiderare le politiche repressive della tolleranza zero e i loro negativissimi risultati. di Enrico Fletzer

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