Un viaggio in paesi lontani

Soft Secrets
19 Mar 2018
In questo articolo vi racconterò il mio ultimo viaggio di formazione cannabica. Ogni esperto di cannabis e derivati deve aver visto coi propri occhi i paesi dove tradizionalmente si utilizza la nostra amata pianta per poter così contestualizzare meglio i prodotti moderni. Non voglio dire che per capire meglio l’Ice-O-Lator si debba andare in Iran, però a mio avviso conoscere i limiti di ciò che può offrire una landrace nel suo areale di origine può essere d’aiuto nel valutare meglio a che punto si è arrivati nella produzione contemporanea. Un esempio di ciò che dico lo si ritrova nelle belle parole di Frenchy Cannoli, un esperto franco statunitense di Cannabis e derivati. Cannoli sostiene che l’Ice-O-Lator più valido (e più buono) si ottenga amalgamando dolcemente tutti i setacci d’estrazione. Questa tesi supportata dal confronto con le tecniche di estrazione tradizionali acquisisce rilevanza, tanto che si può affermare abbia rinnovato le estrazioni moderne. Se fino a ieri full-spectrum era una pratica evitata, oggi è invece la più ricercata. Posso portare la mia testimonianza come ex presidente di un Cannabis club catalano a supporto delle idee di Frenchy Cannoli: durante i primi mesi del 2017 le vendite di l’Ice-O-Lator monosetaccio erano molto più alte del corrispettivo full-spectrum; nei mesi estivi invece si è assistito ad una rivoluzione della domanda così che l’ice monosetaccio è passato da re delle vendite tra le estrazioni ad essere snobbato dai consumatori, che preferivano ovviamente il full-spectrum. Purtroppo la bontà non sempre si accompagna alla purezza, o per fortuna. Così, desideroso di scoprire le bontà tradizionalmente prodotte con piante autoctone son partito alla volta dell’India, dritto sull’Himalaya: obiettivo Charas. Andare in India non è come andare a New York. Sì la distanza è pressoché simile e la lingua pure, ma si deve sempre tenere a mente che si è fuori dal mondo occidentale quindi ciò che a noi provoca stupore potrebbe essere perfettamente normale, e viceversa. Il tempo di richiedere il visto e finalmente siamo partiti: dopo otto ore di volo e tre di coda per il controllo dei passaporti siamo arrivati a Delhi (perché in India se viaggi in prima classe non fai code mentre per noi viaggiatori normali nessuna agevolazione, un poco come i racconti della prima e della terza classe sui transatlantici di inizio novecento). Il mio compagno di viaggio, nonché guida esperta delle valli dove si produce Charas, è un basco da tanti anni turista in India, partito all’esplorazione della Charas dopo aver visto il documentario del compianto Franco di Strain Hunters proprio sulle montagne del nord dell’India. Fortunatamente tutto è stato organizzato dalla mia guida basca meticolosamente e all’uscita dal terminal già ci stava aspettando il nostro taxista che ci ha portati in un hotel dove avremmo passato la notte aspettando il bus del giorno dopo per Kullu. Le alternative disponibili per coprire i 500 km tra Nuova Delhi e Kullu sono il taxi, il pullman, il treno e l’aereo: solo l’aereo impiega un tempo di viaggio ragionevole, le alternative su strada impiegano dalle 10 alle 13 ore soste escluse a causa delle condizioni pessime delle strade e in gran parte a causa della mancanza o dell’inosservanza, credo, delle più basilari norme di convivenza sulle carreggiate (il codice della strada questo sconosciuto). La scelta della mia guida ricadde sul pullman gran turismo, comodo ed economico ma inesorabilmente lento. Dopo 13 ore di viaggio finalmente arriviamo a Kullu dove un taxi minuscolo ci ha caricati a ci ha portati a Kasol, il nostro campo base nella valle del Parvati. Non appena abbiamo lasciato la città la mia guida mi ha indicato il bordo strada invitandomi a guardare bene la flora locale: numerosi cespugli erano cannabis selvatica. La prima da quando ero in India. La cannabis è diffusa in tutta l’India benché significativamente si trovi nell’ Himachal Pradesh, lo stato indiano sotto al Kashmir, dove passa la catena montuosa dell’Himalaya e dove tradizionalmente si produce la Charas. La Charas è un’estrazione da piante di cannabis non essiccate effettuata rigorosamente a mano. Da millenni sulle pendici dei monti dell’Himalaya si produce questa estrazione una volta considerata molto pregiata ed oggi ancora affascinante benché antica e superata. Kasol è stata scelta come centro del nostro viaggio in quanto si trova a 1500 metri circa sul livello del mare ed è al centro della Parvati Valley. Da qui tutto sarebbe stato relativamente vicino. I concetti di vicino e lontano in India, come d’altronde il tempo, sono relativi. Kasol si presenta come un paesino di poche anime o indiane o israeliane sulla strada per Manikaran, nota località di pellegrinaggio degli appartenenti al credo Sikh. Il lato positivo di trovarsi in un paese con una moneta molto più debole della mia è la sensazione di estrema ricchezza che si prova acquistando qualsiasi bene, che per noi europei risulta sempre molto economico. Purtroppo però, tolti i negozi, non rimane null’altro di Kasol se non quattro case riadattate a guest house, qualche tempio induista ed una sinagoga. La sinagoga è presente perché queste valli sono una destinazione turistica per i giovani israeliani dopo il servizio militare. Negli ultimi 40 anni il turismo ha trasformato questi posti in grandi parchi giochi di occidentali che si sentono ricchi (e perciò spensierati): quasi ognuno cerca di spillarti soldi e se paghi puoi ottenere di tutto. Ma torniamo alla Charas, motivo del mio viaggio. A Kasol, come in tutto l’Himachal Pradesh si trova da fumare ovunque e si può consumare Charas in quasi ogni bar. La qualità media è molto bassa perché, a causa del documentario Strain Hunters India, numerosi indiani hanno cominciato a viaggiare verso queste mete speranzosi di fumare: tutta la domanda di Charas economica ha portato ad un abbassamento generalizzato dell’offerta. Inoltre la scarsa conoscenza delle estrazioni moderne ha fatto sì che si creasse un grande mercato interno di estrazioni di bassa qualità. Il primo commento fumando un cyloom è stato: se venisse qua un diciottenne californiano scapperebbe a gambe levate verso la qualità occidentale. Effettivamente il detto “la Charas va capita” è proprio la conferma che in India ci si trova di fronte ad un prodotto tradizionale e come tale non è evoluto (e non può evolversi) fino a raggiungere la perfezione di certune estrazioni occidentali. Chiacchierando con ragazzi nati in loco mi son reso conto dei limiti di un prodotto tradizionale che poteva sembrare paradisiaco ai nostri genitori negli anni settanta ma non alla maggioranza dei miei coetanei abituati ad altri sapori ben più intensi, definiti e mi si passi il termine “speciali”. Mi sentivo un poco deluso, finché un viaggio in alta quota non mi ha chiarito le idee. Una mattina partimmo verso Malana. Malana è la cittadina più famosa della Malana Valley e fu una meta importante per i viaggiatori negli anni passati. Ora risulta abbastanza sputtanata a causa della ottima reputazione della sua Charas, la Malana Cream, che ha attratto negli anni numerosi commercianti in cerca di facili truffe ai danni di inesperti turisti. Al giorno d’oggi chi vuole la qualità va nei paesini ad alta quota dove non è ancora arrivato il turismo di massa: son sempre meno tanto che addirittura a Waichin (3200 metri sul livello del mare) vi sono tre camping per turisti. Ho parlato di alta quota perché la Charas si divide in due tipologie, la Jungli e la Baghija. La qualità più bassa è la Jungli, si ricava da piante cresciute a bassa quota (sotto i 2000 metri di altitudine) ed è “sporca” di materiale vegetale a causa della conformazione delle piante con infiorescenze piccole. La miglior crema si chiama Baghija e proviene da piante alte fino a 4 metri con infiorescenze grosse e compatte. Indipendentemente dal tipo di coltivazione, se in campi coltivati o da piante nella natura, sopra i 2500 metri cambia il prodotto ottenuto. La Charas prodotta in alta quota è generalmente preparata da abili estrattori (i charsì) con più cura rispetto alla Jungli, che si traduce in meno parte vegetale e più resina. In ogni caso una Charas appena prodotta deve riposare almeno un mese affinché assuma sapori piacevoli al palato e non sappia di clorofille e di bagnato: è bene ricordare che la Charas è l’unico prodotto tradizionale ottenuto da piante fresche mentre il classico battuto si ottiene lavorando piante secche. Nonostante non sia consigliato dai locali abbiamo campeggiato una notte in un campo a 3200 metri di altitudine sopra Malana. I rischi sono l’assideramento, il leopardo delle nevi, la tigre, gli orsi e i balordi ma fumare un cyloom di Charas stagionata  un anno insieme a degli abitanti di Malana con la via lattea ad illuminare a giorno il campo è un’esperienza quasi mistica… Non so quante volte ho ringraziato queste persone per continuare a portare avanti la tradizione della Charas! Unica pecca i turisti indiani con la loro musica trance (rigorosamente trance perché gli israeliani ascoltano principalmente questo genere e gli indiani ammirano chiunque venga dal mondo occidentale) quasi tutta la notte, ma d’altronde se non si è capaci di cogliere la poesia dello scorrere delle acque del fiume Malana a fondo valle non è una colpa bensì una carenza. In alta quota la Charas è diversa, ha un sapore meno vegetale e più balsamico che solo camminando in questi pendii si può riconoscere. A Waichin sa degli abitanti di queste montagne e dei profumi di questo versante, a Malana ha un sapore differente come è differente a Lapas e via dicendo. Purtroppo non vi sono tecniche per capire se la Charas è buona o meno, bisogna affidarsi alla propria esperienza e confrontare più prodotti possibile. Noi italiani siamo ovunque nel mondo vi sia una bazza, tanto che in India ho conosciuto due italiani entrambi residenti da anni nella Parvati valley, i quali mi hanno aperto gli occhi sulla Charas di qualità. Insomma, è stata una bella esperienza che consiglierei a chiunque volesse provare un prodotto (forse l’ultimo esistente) tradizionale.
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