Canapa medica, Italia all'avanguardia? I pazienti non lo sanno

Soft Secrets
15 Nov 2017
Quando a livello europeo si parla di cannabis terapeutica, l'Italia figura i paesi illuminati, all'avanguardia, o almeno così parrebbe essere sulla carta. Nel concreto però, la situazione vissuta dai malati italiani è davvero paradossale e ancora una volta aiuta a comprendere il primato della cultura sulla produzione legislativa. in poche parole, non serve a nulla scrivere leggi che poi nessuno ha volontà di applicare. cosa sta succedendo allora nel nostro paese? Dopo tante parole, proclami ed annunci perché siamo ancora a poca distanza dal punto di partenza? Perché nei piani alti e sulle sedie che contano nessuno si vergogna di trattare persone malate con la stessa empatia con la quale si relazionerebbe ad uno sgabello dell'Ikea e tutto ciò solo perché questi pazienti si curano con la marijuana? di Carlos Rafael Esposito L'attuale legislazione prevede una produzione nazionale di cannabis media e la possibilità di importare il farmaco dall'estero: queste sono l'ascissa e l'ordinata del sistema cannabis medica nostrano. Nonostante tale doppia fonte di approvvigionamento però, nei fatti, tale sistema risulta assolutamente insufficiente nel garantire ai pazienti italiani un accesso soddisfacente perché di qualità, perché a basso costo e soprattutto perché con disponibilità immediata. Dal 2007 la cannabis è riconosciuta come farmaco in Italia e se prima i pazienti che si curavano con questa medicina dovevano farlo nella totale illegalità, da dieci anni a questa parte tale diritto viene loro accordato secondo normative di carattere nazionale e regionale. E allora? Allora per quel che riguarda l'importazione dall'estero il nostro Ministero della Salute ha completamente sottostimato l'effettivo fabbisogno del pubblico nazionale e si è accordato con i produttori olandesi per una fornitura annuale di 200 kg di cannabis (altri 100 kg sono invece quelli prodotti a livello italiano). Comunque sia, 175 chilogrammi del farmaco olandese sono stati distribuiti in soltanto 3 mesi e la futura ed inevitabile rottura di stock è diventata evidente sin dai primi momenti. Siccome però questo è un farmaco totalmente naturale che segue quindi i ritmi di sviluppo di una pianta, in seguito alla rottura di stock, per i produttori olandese è stato impossibile far fronte a tutte le richieste provenienti dalla nostra penisola. Non erano preparati. Gli stessi produttori olandesi quindi, che consci di quanto questa mancanza di farmaco possa pregiudicare le persone in trattamento e con un'umiltà sconosciuta ai nostri politici, si sono scusati, scusati per la loro parte di responsabilità ovviamente. Ed i politici italiani che hanno il resto della responsabilità? Non ci risulta nessuna pres di posizione del Ministro Lorenzin sotto questo punto di vista, nessuna comunicazione ufficiale ha sottolineato come il Ministero della Salute sia cosciente delle conseguenze nefaste delle proprie valutazioni. Pazienti in cura oncologica, con malattie neurodegenerative e con dolori cronici hanno dovuto abbandonare il solo farmaco che spesso induce loro il tanto agognato sollievo. Per quel che riguarda poi la produzione nazionale, le condizioni previste e realmente implementate dal Ministero della Difesa in collaborazione col Ministero della Salute non hanno niente a che vedere con i proclami di presentazione del progetto e con una reale determinazione a lavorare per il benessere dei nostri cittadini. Nello Stabilimento chimico- farmaceutico militare di Firenze attualmente (Ndr. 9 ottobre 2017) sono in funzionamento 2 serre da 20 metri quadrati ciascuna. Ognuna di esse produce 10 chilogrammi di canapa ogni 3 mesi. Con il finanziamento di 1 milione di euro ricevuto dal Ministero della Difesa si è approntata anche un'ulteriore terza serra, pronta e con illuminazione a LED, che si prevede di cominciare a sfruttare verso fine ottobre e con una capacità produttiva di 15 chili. In totale quindi la cannabis made in Italy con le attuali strumentazioni e considerando 4 raccolti annuali potrebbe arrivare a fornire: 140 chilogrammi di marijuana all'anno. Un quantitativo ancora purtroppo esiguo, perché se si considera che nel 2017 le prescrizioni di cannabis sono aumentate esponenzialmente rispetto agli ultimi dieci anni, rischiamo di vedere ripetersi le medesime problematiche anche nel 2018. Bisogna credere in questo progetto nazionale e crederci con i soldi, non solo con le parole. Si proprio con i soldi, perché nonostante il Ministro della Salute abbia rivendicato l'importanza del lavoro dei militari a Firenze e nonostante abbia dichiarato alle televisioni nazionali di considerare la cannabis come ogni altra medicina, nemmeno un euro è uscito dal budget di questo Ministero per sostenere concretamente gli sviluppi di questo progetto storico. E tutto questo, risulta ancora più amaro constatarlo, senza che esista nel nostro paese un dibattito serio sulla possibilità di aprire il mercato della cannabis medicinale alla concorrenza ed agli investimenti dei privati. Il mercato è chiuso, blindato con un monopolio antistorico e chi sarebbe titolate ad investire non ha ancora messo una lira. Da fonti interne allo Stabilimento di Firenze ci viene spiegato di avere in disponibilità 10 serre pronte, ma ancora senza luci ed impianto di condizionamento che aspettano da 1 anno e mezzo un finanziamento della Salute che non arriva. E cosa produce questa maniera di lavorare? Produce la frustrazione dei pazienti, ma anche degli stessi militari che non vedono l'ora di poter cominciare a fare sul serio e che invece continuamente devono far fronte ad una disponibilità di farmaco pronto alla distribuzione, sul quale pende inesorabile, a causa della attuali strutture e risorse non adatte al bacino di utenza relativo, la spada di Damocle vergognosa della rottura di stock. Proprio mentre il progetto nazionale aveva come motivazione di base una distribuzione celere di un prodotto di qualità che potesse affrancare i pazienti italiani dalla dipendenza dal farmaco importato. Morale della favola entrambi: sia i produttori olandesi che gli italiani hanno finito la medicina. Gli olandesi dichiarano di averla finita a luglio, mentre i militari ad agosto avevano concluso la loro e solo a fine ottobre, hanno potuto rimettere sul mercato ulteriori 10 chilogrammi. Polverizzati con molta probabilità dalla richiesta di un mercato in espansione verticale. Per aumentare la produzione della canapa medica italiana comunque un'altra considerazione va fatta e ci porta al CRA di Rovigo a chiacchierare con il ricercatore Giampaolo Grassi che attualmente rifornisce le talee poi sviluppate dai militari. Se per esempio si volesse aumentare la produzione del militari a 500 chili ogni anno, la prima questione da affrontare sarebbe quella dell'aumento delle talee fornite per ogni ciclo dal ricercatore veneto. Se ipotizziamo 20 serre messe a regime, le talee dovrebbero essere 1500 per ogni ciclo, ma Grassi è pronto ad un tale incremento nelle forniture? Al telefono mi risponde in questa maniera:"Il personale tecnico è stato ridotto, 3 sono andati in pensione e 2 sono stati trasferiti, siamo rimasti due amministrativi e due ricercatori, ma solo io mi occupo di cannabis. Diciamo che ci stanno facendo morire di fame e che invece di aggiungere e investire, ci tolgono. Il progetto di produzione nazionale non interessa a nessuno e siccome il Ministero dell'Agricoltura non è stato coinvolto dall'inizio, adesso ha meno interesse ad appoggiare il progetto. Fino ad oggi spediamo a Firenze mediamente 140 talee ogni mese o due. Con queste talee loro mettono in produzione una delle loro serre da 20 metri quadrati, ma per produrre 1500 talee ogni ciclo avremmo bisogno di almeno due persone a tempo pieno e di raddoppiare gli attuali spazi dedicati alla produzione. Il problema è che i politici italiani che hanno il potere di decidere sono persone che non hanno mai visto la canapa, i personaggi nelle posizioni chiave sono gli stessi che erano nelle stesse posizioni all'epoca della legge Fini- Giovanardi e che continuano a rifiutare l'idea che dalla canapa si possa tirare fuori qualcosa di buono". Nel frattempo in Portogallo lo scorso settembre il governo lusitano ha accordato i permessi ad una dita canadese specializzata in produzione di cannabis terapeutica, la Tilrlay, per cominciare i preparativi per produrre cannabis in Europa. Investimento previsto: 20 milioni di euro. La prima fase del progetto, previsto entro primavera 2018, comprende: laboratorio indoor, banca delle genetiche, 10.00 metri quadrati di serra e 1.500 metri di impianti di trasformazione. La seconda fase, entro il 2020, prevede di aggiungere altri 15.000 metri quadrati di serre e ancora 1.500 metri quadrati per la trasformazione della materia prima. La Libera concorrenza, il soggetto privato che porta il know how sviluppato in un paese come il Canada, paese che ha molto da insegnare a noi italiani che ancora ci affidiamo al monopolio per la paura di sdoganare la produzione della cannabis come dall'altro lato dell'oceano. Una paura che è culturale e che non ha nessuna base empirica che non possa essere combattuta con un ragionamento logico e sereno. Ma attenzione, anche questo investimento privato non risolverà a priori il problema dell'accesso al farmaco perché ci sarà sempre, anche in Portogallo, chi non potrà permetterselo. Proprio per questo vale la pena ricordare il secondo punto sul quale Lisbona basa l'altra colonna normativa portante di un sistema cannabis medica compiuto e funzionante: la depenalizzazione dell'autocoltivazione. Perché senza accettare l'autoproduzione come nevralgica, manca il requisito minimo per cominciare a cambiare realmente la questione cannabis: comprendere che si tratta di una risorsa e non di una grana. Comprendere che il paziente che coltiva è una risorsa per se stesso, per la sua famiglia, per il prossimo e non un pericolo per la società. In fondo chi soffre non ha tempo che il Ministero della Salute trovi la voglia di pagare l'ampliamento delle serre di Firenze, che venga autorizzata l'importazione del farmaco dal Portogallo o che gli olandesi rimettano in commercio i loro prodotto: chi soffre cerca la sua strada a prescindere dalle convenienze politiche e spiana sentieri anche per noi, che in futuro faremo bene a tenerlo a mente e a ringraziare del cammino percorso.    
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