Cannabis legale? Non in Italia

Soft Secrets
06 Oct 2017
Nel testo base adottato dalle commissioni riunite di Montecitorio non c’è traccia della proposta arrivata in aula un anno fa e che sembrava dovesse segnare una svolta. Il provvedimento era stato sostenuto inizialmente da 290 firme raccolte trasversalmente tra i principali partiti politici ma dopo il pesante stop del luglio 2016, ha finito per essere decisamente ridimensionato dall’esame delle Commissioni Riunite e affronta ora il voto privo di quella stessa proposta di legalizzazione che lo aveva battezzato. La chiamavano cannabis legale ma ha finito per essere l’ennesimo, se non il più clamoroso, buco nell’acqua della storia dell’antiproibizionismo italiano. A quasi un anno esatto dal debutto in Parlamento della proposta di legge che avrebbe dovuto legalizzare la cannabis in Italia, l’iter, già interrotto con il rinvio alle commissioni, sembra essere ora arrivato alla battuta d’arresto: la politica ha preferito correggere semplicemente il tiro sull’uso terapeutico e stralciare di netto tutto quanto relativo alla normalizzazione della pianta. È accaduto lo scorso 26 luglio, quando le Commissioni Riunite Giustizia e Affari sociali della Camera hanno ufficialmente deliberato un testo base per proseguire nei lavori parlamentari. Il testo in questione è quello proposto dalla relatrice Pd per la XII commissione Margherita Miotto (classe 1948, sic!), preferito dal comitato ristretto che da questa primavera aveva il compito di lavorare sulla questione: dieci articoli in cui non c’è la minima traccia di quella proposta che sembrava segnare una svolta, dieci articoli in cui la parola “legalizzazione” è stata letteralmente eliminata. Cannabis legale? Non in Italia Due infatti gli aspetti salienti del testo: via libera all'uso terapeutico della cannabis (possibile già da 10 anni grazie alla legge Turco del 2007, sic!) e stop deciso alla legalizzazione, anche solo in forma limitata, per uso ricreativo. Gli obiettivi principali della proposta, stando a quanto affermano i promotori dell’area (cattolica) del Pd sono fondamentalmente quattro: - Assicurare una qualità standardizzata della cannabis per uso terapeutico - Definire chiare indicazioni terapeutiche della cannabis, anche andando oltre la terapia di supporto - Garantire l'equità nell'accesso dei pazienti di trattamenti con cannabis ad uso terapeutico - Promuovere lo sviluppo di nuove tecniche di produzione e trasformazione Il documento uscito dalle commissioni illustra poi nel dettaglio tutti i punti che dovrebbero essere trasformati in un progetto di legge articolato. Al primo posto la proroga del periodo di sperimentazione del Chimico Farmaceutico di Firenze, in scadenza il prossimo novembre, come previsto dal decreto del ministero della Salute del 9 novembre 2015, fino all'entrata in vigore della nuova legge. Il cosiddetto “testo unificato” contiene poi indicazioni sulle nuove modalità di assunzione oltre la via orale e la via inalatoria, e le conseguenti procedure di autorizzazione per produrre estratti come olio e resine, assumibili in maniera più semplice e, stando a quanto afferma il testo, “appropriata” per il paziente. A favore del testo che segna un passo indietro rispetto alla proposta iniziale hanno votato Pd, Lega, Ncd e Forza Italia. Ma anche la proposta Miotto non è stata unanime e il termine per la presentazione degli emendamenti è stato fissato per l’11 settembre. Il tempo rema però decisamente contro ed è probabile che la proposta, per quanto snaturata, dell’Intergruppo venga seppellita assieme a questa diciassettesima legislatura. Ma come si è arrivati a questa disfatta, che per gli antiproibizionisti italiani potrebbe, a ragione, essere definita una Caporetto? È dalla primavera del 2014, quando la Fini-Giovanardi è stata cassata come incostituzionale, che il Parlamento prova a modificare la legislazione sulla cannabis. Dopo un lungo lavoro di mediazione da parte dell’Intergruppo parlamentare messo insieme dal sottosegretario agli Affari esteri nonché ex presidente dei Radicali, Benedetto Della Vedova, la proposta di legge era approdata in Aula, alla Camera, il 25 luglio dello scorso anno per una discussione generale. Con 290 firme raccolte tra le fila di quasi tutti gli schieramenti politici presenti tra Camera e Senato e un sostegno apparentemente trasversale, è stata però subito bloccata dalla potenza di fuoco di oltre 2000 emendamenti. Prima firma quella del vicepresidente della Camera Roberto Giachetti (che allora pareva una garanzia), secondo la proposta originale sarebbe stato possibile, tra le altre cose, detenere per uso ricreativo fino a 5 grammi di marijuana (15 nel privato domicilio) o coltivare sul terrazzo di casa fino a un massimo di cinque piantine, inviando una semplice comunicazione. Lo stesso Della Vedova si era detto ottimista: “In base al numero dei firmatari della proposta di legge, per approvarla mancano 80 deputati disposti a votare favorevolmente. La partita è aperta”. Poi però, lo scorso ottobre, la Camera l’aveva rispedita in Commissione: gli emendamenti presentati non solo dai centristi, primi nemici della proposta, ma anche dal fuoco amico Pd, erano troppi per essere discussi in aula. Il testo andava riscritto. Cannabis legale? Non in Italia Insomma, da che la proposta è approdata ufficialmente nelle sedi istituzionali, è stata rimbalzata come una pallina in un flipper. Perché la verità è che la maggioranza del gruppo del Pd non ha mai preso in seria considerazione la possibilità di una legalizzazione dell’uso ludico e ha sempre preferito la strada dello spacchettamento, puntando sull’uso terapeutico e rinviando continuamente la discussione in aula. A un anno di distanza dal debutto della proposta di legge in Parlamento, il senatore Della Vedova commentava su Facebook l’adozione del testo di Margherita Miotto, ricordando infatti che “si limita a proporre qualche tardivo, seppur utile, aggiustamento alla disciplina dell’uso terapeutico della Cannabis” e sottolineando che “il Pd ha smentito la scelta antiproibizionista di oltre cento parlamentari democratici che avevano sottoscritto il disegno di legge cannabis legale”. Per tentare di non mollare il colpo dopo la debacle della prima apparizione a Montecitorio, il relatore per la Commissione Giustizia Daniele Farina (Si) aveva presentato una sua proposta di testo unificato, che rielaborava la proposta di legge Giachetti, assumendo anche l’uso medico ma che era stata infinite cassata dopo la sonora bocciatura delle destre presenti in commissione e soprattutto del Partito Democratico. Anche secondo Farina quello approvato dalle Commissioni Riunite è un testo “estremamente tenue” in quanto “è un articolato circoscritto all’uso medico, limitato e molto lontano dalla discussione pubblica di questi anni e dalle esperienze concrete ormai diffuse nel mondo”. All’attacco del Pd anche gli esponenti 5 Stelle in Commissione Giustizia: “Come volevasi dimostrare”. Secondo i grillini “dopo tanti falsi proclami, il Pd ha affossato definitivamente una proposta di legge di buon senso, mandando all’aria un lavoro che va avanti da mesi e che ha coinvolto esponenti di tutte le forze politiche all’interno di un Intergruppo ad hoc”. Una scelta contraria alle indicazioni fornite “da illustri magistrati come il procuratore Antimafia Franco Roberti, che non incide assolutamente sulla volontà, ribadita da più parti, di colpire il traffico di stupefacenti in mano alle mafie”. Quindi l’attacco polemico: “Alla fine il Pd ha gettato tutto alle ortiche, tirandosi indietro e votando contro la proposta del primo firmatario Giachetti. Hanno fatto i Giovanardi del momento. Anzi, peggio”. Proteste anche dai Radicali Italiani. “Legalizzare la Cannabis – hanno dichiarato Riccardo Magi e Antonella Soldo – non è un capriccio ma è un’urgenza che riguarda migliaia di detenuti nelle carceri, migliaia di processi che intasano i tribunali, milioni di euro e risorse sottratte ad operazioni della polizia; riguarda la salute, i diritti e le libertà delle persone”. Secondo i Radicali, “mafie e mercanti della droga non possono che dire grazie di fronte all’affossamento del disegno di legge cannabis legale. La scelta proposta dall’onorevole Miotto di portare avanti solo la parte relativa alla cannabis terapeutica è irresponsabile e ipocrita. La cannabis terapeutica è legale dal 2007 in Italia e nonostante ciò fatica ad affermarsi proprio a causa dell’aurea di criminalizzazione che ancora circonda questa sostanza”. L’associazione Luca Coscioni parla di “un attacco all’Intergruppo parlamentare e uno schiaffo alla nostra iniziativa popolare sottoscritta da oltre 60.000 cittadini” e si augura che “l’estate porti consiglio al Pd in vista della nostra proposta di legge, ancora da calendarizzare”. Per Filomena Gallo, segretario dell’associazione e Marco Perduca, coordinatore di Legalizziamo.it “le norme sui cui l’iter dovrebbe riprendere a settembre non aggiungono niente alla legislazione vigente in materia da 10 anni”. La suddetta proposta di legge di iniziativa popolare, appena passata alle Commissioni competenti e attualmente in attesa di calendarizzazione, tra le altre cose prevede l’autocoltivazione libera fino a cinque piante, con comunicazione da sei a 10, la possibilità di associazione in cannabis social club non a fini di lucro (fino a un massimo di 100 componenti che possono coltivare cinque piante femmine a testa) e la coltivazione e fini commerciali previa comunicazione dell’inizio della coltivazione, nome e varietà di cannabis utilizzate e quantità di seme per ettaro. Sul banco ad oggi resta infatti solo questa ultima cartuccia. L’ennesima proposta di iniziativa popolare voluta dai coriacei Radicali, che da più di 40 anni portano coerentemente la bandiera dell’antiproibizionismo nelle sedi istituzionali, senza purtroppo veder mai soddisfatte le richieste di decriminalizzazione della pianta. Se la storia dunque ci insegna qualcosa, è poco probabile che incontrino il successo con quest’ultima iniziativa. L’Italia ora – e come sempre – ha ben altro a cui pensare. Il 2018 è anno di elezioni politiche e i partiti sono ora in fase di assetto per la battaglia elettorale che deciderà sul futuro dei prossimi 5 anni della nazione. Una nazione in cui è la gerontocrazia ad avere la meglio, in cui le paure vengono create a tavolino e pompate tramite la cassa di risonanza di un’informazione distorta e parziale; un Paese in cui il detto “dividi et impera” la fa da padrone e in cui la società si galvanizza ogni qual volta c’è qualcuno da demonizzare con torce e forconi. Davvero ci aspettavano qualcosa di diverso da questo esperimento dell’Intergruppo? di Giovanna Dark
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