Punire il consumo e non la pericolosità

Soft Secrets
29 Apr 2016

Siamo onesti, la maniera migliore per condurre un veicolo è quella di essere lucidi e riposati. La guida sicura è la risultante di una condotta che tiene presente tutte le variabili e tutti gli imprevisti che costellano le strade che percorriamo. Inoltre, come racconta con sintassi asciutta e tecnica il Dottor Elio Santangelo nel suo libro: Guida in stato di alterazione psico-fisica. L’esempio della cannabis Edizioni SEED, l’uso di sostanze stupefacenti e/o psicotrope può ripercuotersi sia sulle capacità di percezione e controllo del soggetto, sia sugli atteggiamenti e comportamenti che tale soggetto adotterà alla guida.


Premesso questo, oggi, si vogliono offrire alcuni veloci spunti di riflessione che inquadrino l’abilità alla guida e la sostanza cannabis entro la giusta dimensione, quella scientifica, che non regali nulla né alla sottovalutazione della sostanza in questione né, come vedremo, alla sua equiparazione a sostanze molto più pericolose, se utilizzate conducendo, come gli alcolici. Primo punto. Sembra che la ricerca in ambito epidemiologico indichi che in caso di incidenti stradali la cannabis rappresenti la sostanza illecita maggiormente riscontrata. Credo che l’interpretazione più di buon senso di questo dato sia semplicemente che la cannabis risulta essere la sostanza illecita più consumata nella nostra società tout court e che quindi sia anche, e inevitabilmente, la più rappresentata all’interno delle statistiche sugli incidenti.

Secondo punto. Se per l’alcol e lo stato di ebbrezza alcolica di norma è possibile correlare a dati valori alcolemici i principali sintomi riscontrati, per la cannabis questo tipo di equazione non è così immediata ed anzi rappresenta causa di dibattito. Infatti come afferma il Dott. Santangelo a differenza di quanto avviene con l’alcol, sostanza per la quale viene accettata l’esistenza di una relazione definita tra concentrazione presente nel sangue ed effetti farmacologici manifestati, nel caso delle sostanze stupefacenti, differenti sostanze, assunte in dosi e vie di somministrazioni diverse sono in grado di determinare ripercussioni sulla guida di entità talvolta difficilmente valutabili.

E questo vale anche per la cannabis, visto che le evidenze riguardanti la relazione di colpevolezza relative alla cannabis negli incidenti stradali sono molto meno chiare rispetto all’alcol, proprio perché non è stata ancora chiarita la relazione fra concentrazioni di THC rispetto al corrispondente grado di disabilità alla guida. Terzo punto, affidabilità dei test. Al momento i test impiegati per comprendere se al volante si trova una persona potenzialmente pericolosa a causa della propria condizione psico-fisica, sono di 3 tipi: analisi delle urine, della saliva o del sangue. Il campione di urina di solito è il più utilizzato nella ricerca di droghe e dei loro metaboliti. Però, nonostante sia molto utile per comprendere se una persona ha fatto uso di una certa sostanza, il Dott.

Santangelo ci mette in guardia sul fatto che sia inaccettabile diagnosticare l’effetto prodotto da una sostanza di abuso attraverso l’impiego esclusivo di questo test; infatti la rilevabilità di una sostanza nell’urina può protrarsi anche oltre la sua completa eliminazione dal sangue e quindi quando l’effetto farmacologico risulterebbe cessato. In altre parole la positività urinaria ai cannabinoidi non fornisce alcun tipo di informazione sulla via di somministrazione, sulla quantità di sostanza assunta, sul momento cui l’esposizione corrisponde e sugli effetti ed eventuali disabilità correlate. Nella saliva, a differenza delle urine, il THC resta per minor tempo (si stima sino a più di 5 ore dopo l’assunzione) ma le problematiche di queste analisi restano simili e quindi senza una conferma a livello ematico non sono del tutto attendibili.

L’ultimo test, quello più affidabile per rilevare lo stato di intossicazione al momento del prelievo, è quello delle analisi del sangue: l’unica domanda che credo non sia trascurabile è che, considerato il fatto che nei consumatori cronici è risaputo che il THC resti a lungo nel sangue, come si può comprendere che al momento del prelievo l’autista sia effettivamente sotto effetto di stupefacente? Il Dott. Santangelo ci dice che essendo al giorno d’oggi molto difficile esprimere in modo inequivocabile che una data concentrazione ematica di THC sia correlata ad una determinata disabilità, rivestono grande importanza dati come la quantità di sostanza assunta, la via di somministrazione e l’abitudine al suo consumo. Anche l’analisi del solo sangue non sembra dunque poter confermare univocamente che lo stato di disabilità al momento della guida corrisponda alla semplice presenza del THC nel sangue dell’autista. Quarto e ultimo punto.

Come agisce concretamente la cannabis su chi guida? Secondo gli studi menzionati dall’autore del libro, evidenze sperimentali hanno dimostrato che la cannabis è in grado di produrre un effetto negativo su importanti abilità necessarie alla guida, determinando una conseguente condizione di disabilità, anche se quest’ultima appare raramente di grado severo e durevole nel tempo. Nel particolare si tratta della diminuzione della capacità di mantenere la traiettoria e di mantenersi in carreggiata, dell’oscillazione della stessa, dell’incremento dei tempi di reazione e dell’alterazione delle capacità di rispondere a situazioni impreviste.

Nonostante ciò, sottolinea il testo, a differenza di quanto avviene con l’alcol, i soggetti che hanno consumato cannabis, si dimostrano consapevoli della propria disabilità e cercano di attuare dei meccanismi di compensazione della stessa: riduzione della velocità, utilizzo di maggior prudenza o addirittura riluttanza alla guida di un veicolo. Alla luce delle semplici riflessioni proposte sembra quanto meno in malafede il voler penalizzare gli autisti risultati positivi alla cannabis per un motivo di sicurezza pubblica stradale. La cannabis non fa certo bene al volante, ma finché le tecniche di analisi non daranno dei risultati univoci, si continua a punire il suo consumo piuttosto che la sua reale pericolosità. E questo è maledettamente illiberale.

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