Schiavi della cannabis

Exitable
17 Aug 2015

In Inghilterra la malavita vietnamita utilizza la tratta dei minori per coltivare piantagioni di marijuana


In Inghilterra la malavita vietnamita utilizza la tratta dei minori per coltivare piantagioni di marijuana

C'era una volta Oliver Twist. E purtroppo c'è ancora. Nel Regno Unito il lavoro minorile pareva essere stato completamente debellato, ridotto ad un triste ricordo dei tempi più bui della seconda rivoluzione industriale. Eppure, all'alba del XXI° secolo, sono ancora migliaia i minori che finiscono nelle mani della criminalità organizzata e vengono sfruttati in modo intensivo per accrescere i giri d'affari illeciti. Lo ha svelato una recente inchiesta del The Guardian: per la maggior parte sono vietnamiti e sono obbligati a vivere segregati in appartamenti o serre per curare le piantagioni illegali di marijuana. 



Sono davvero pochi i modi in cui la cannabis può effettivamente nuocere all'essere umano. E quasi tutti hanno a che fare la sua assurda proibizione. Uno degli esempi più scioccanti ce lo ha servito in prima pagina lo scorso mese uno dei maggiori quotidiani inglesi: ad oggi sarebbero almeno migliaia i minorenni provenienti dal sud est asiatico (dal Vietnam in particolare) impegnati forzosamente in attività di coltivazione illecite a favore delle mafie locali.

Il racconto di Annie Kelly e Mei-Ling McNamara, le autrici dell'inchiesta sul The Guardian, comincia con Hien, un ragazzino di dieci anni che sbarca sulle coste inglesi senza nemmeno sapere dove si trovasse in realtà. Da che è sbucato fuori dalla stiva di un traghetto a Dover la sua è stata una vita fatta di sfruttamento, dolore, isolamento e miseria. È stato uno schiavo domestico, con tutta probabilità venduto alle cosiddette “fabbriche di cannabis” possedute dalla Hanoi Mafia, l'ormai potentissima organizzazione criminale vietnamita che ha allungato i suoi tentacoli su tutto il territorio centro e nord europeo. Per sette anni ha lavorato come grower coatto (N.d.A. che significa “forzato”, e non “tamarro” come molti possono credere...) e, dopo abusi di ogni genere e sorta, è stato persino arrestato della polizia inglese che ci ha messo quasi un anno a capire che l'attività di Hien non era farina del suo sacco, bensì il risultato di una tratta minorile.

Il viaggio di Hien verso il Regno Unito è iniziato quando aveva appena 5 anni: Hien era un orfano in un piccolo villaggio dell'ex Vietnam del Nord ed un giorno è stato semplicemente prelevato da un sedicente “zio” (a quell'età di certo non si fanno molte domande, si fa semplicemente quello che gli adulti ti dicono). Per 5 anni Hien ha viaggiato su mezzi di fortuna, totalmente inconsapevole di quale sarebbe stata la sua destinazione finale. Arrivato a Londra è stato immediatamente piazzato in una casa privata, dove ha passato i seguenti 3 anni in una condizione di schiavitù domestica, regolarmente picchiato, costretto ad ubriacarsi per il divertimento dei suoi aguzzini. Una volta abbandonato dallo “zio”, Hien si è ritrovato nuovamente segregato in appartamenti privati– prima a Manchester e poi in Scozia – per occuparsi di piantagioni di cannabis domestiche.

Nella testimonianza resa alle forze dell'ordine, il ragazzino – che ora ha 17 anni – ha sempre sostenuto di non avere capito esattamente quali piante stesse curando, sebbene avesse capito che quelle piante valevano un sacco di soldi. Hien ha curato le piantagioni di cannabis usando dei pesticidi che lo hanno fatto ammalare e le uniche volte in cui ha lasciato l'appartamento è stato per trasportare le cime che avrebbero dovuto seccare in ambienti diversi. A parte questo, Hien ha sempre vissuto in uno stato di segregazione: minacciato, picchiato e completamente isolato dal mondo esterno. «Non sono mai stato pagato per il mio lavoro – ha dichiarato il ragazzo – e se sono rimasto è stato solo per paura e perché speravo che prima o poi quest'incubo sarebbe finito».

Quando è arrivata, la polizia ha trovato Hien da solo con un paio di dozzine di piante di marijuana: anche di fronte alla terribile storia raccontata, gli ufficiali hanno preferito mandare il ragazzino in un penitenziario minorile scozzese con l'accusa di coltivazione illecita di cannabis. Hien ha quindi passato altri 10 mesi senza vedere la luce del sole, prima che un pubblico ministero lo individuasse come vittima di una tratta minorile e lo salvasse finalmente dall'inferno in cui aveva vissuto nei precedenti 12 anni.

Ma la storia di Hien non è purtroppo l'unica. Lui è solo uno degli stimati 3000 minorenni vietnamiti forzati al lavoro nella vecchia Albione e usati dalle gang criminali per occuparsi di piantagioni di cannabis e laboratori di meth, per lavorare con turni massacranti nelle fabbriche tessili o per lasciarsi abusare sessualmente nei bordelli e nelle case private. A quanto affermano però le due giornaliste del The Guardian, quello dei bambini vietnamiti sfruttati per la coltivazione intensiva di marijuana è un po' il segreto di Pulcinella: tutti sanno, nessuno fa nulla.

«La polizia e le autorità sono ora consapevoli che la tratta dei bambini forzati a lavorare nelle “cannabis farms” non è che la punta dell'iceberg – ha spiegato Philip Ishola, ex capo del Counter Human Trafficking Bureau inglese –. Spesso questi bambini vengono impiegati in una miriade di altre attività illecite. Sta succedendo proprio sotto al nostro naso e non è ancora stato fatto abbastanza per fermarli».

Di bambini come Hien ne arrivano infatti circa una trentina al mese nella sola Inghilterra e, stando al rapporto dell'Ufficio su Droga e Crimine delle Nazioni Unite, i vietnamiti rappresentano il primo gruppo per numero e consistenza nel triste grafico della tratta di minori che interessa il Regno Unito. «I bambini stanno diventando un bene sempre di maggior valore per le mafie organizzate – continua Ishola – perché sono facili da prelevare, facili da intimidire e quindi da sfruttare, facili da tenere isolati e soprattutto i bambini sono spesso inconsapevoli di quello che realmente gli succede attorno».

Stando a quanto sottolineano le due giornaliste, quando si tratta di bambini vietnamiti resiste ancora la cultura per cui questi siano in realtà “galline dalle uova d'oro”, pronti ad essere spediti all'estero per lavorare e provvedere alla famiglia in patria. Questa deprecabile attitudine – il lavoro minorile è comunque da biasimare, non importa quale sia la cultura che lo promuove o gli intenti che lo sorreggono – è stata e sta venendo sfruttata al massimo dalle mafie, le quali fanno credere alle famiglie che in Europa esistano possibilità di lavoro regolare per i propri figli.

Il business organizzato dalla Hanoi Mafia è tanto semplice quanto crudele: durante i viaggio verso il Regno Unito, i trafficanti continuano a caricare di debiti i bambini che hanno strappato alle loro famiglie (può trattarsi anche solo del vitto) e, per il momento in cui approdano, i ragazzini contrabbandati arrivano ad avere anche 25.000 sterline di debiti. Il pagamento di questi enormi ed arbitrari debiti è il fattore chiave che costringe i bambini e le bambine vietnamite al lavoro forzato: in debito con gli adulti per il vitto e l'alloggio, ai bambini viene detto che devono “ritornare il favore” occupandosi delle piante di cannabis.

La mafia del Vietnam è storicamente la prima per quanto riguarda la produzione e il traffico di marijuana nel Regno Unito e il dato che riguarda la loro radicata presenza nella coltivazione domestica è schizzato dal 15% al 90% in soli 10 anni: praticamente, sotto la regina Elisabetta, si fuma quasi solo erba coltivata da schiavi-bambini vietnamiti e, negli ultimi due anni, il numero di “fabbriche di cannabis” gestite dalle gangs di Hanoi ha avuto una media di crescita del 150%.

Come Hien, molti di questi bambini finiscono per lavorare nell'industria clandestina della cannabis: secondo l'ultimo report della ONG inglese AntiSlavery International, quasi tutte le potenziali vittime di traffico di esseri umani legate alla cannabis sono vietnamite e più del 80% di queste sono bambini. Molti di questi minorenni vengono perseguiti dalle autorità e dal sistema giudiziario inglese e, sebbene la stragrande maggioranza venga poi identificata come vittima, il dato ufficiale vede ancora quello vietnamita come il secondo gruppo etnico per numero ad affollare gli istituti minorili inglesi. Poco importa che questi ragazzini abbiano con tutte le probabilità un passato di privazioni e abusi emotivi e che quindi siano particolarmente vulnerabili di fronte alla prospettiva di ulteriori violenze fisiche o, ancor peggio, sessuali.



Il paradosso appare dunque evidente: mentre i trafficanti continuano indisturbati nelle loro attività illecite, sono in ultimo i bambini a farne le spese (legali). E questo avviene nonostante le Camere inglesi abbiano recentemente approvato il primissimo “Modern Slavery Bill” per irrigidire le pene previste per i trafficanti e tutelare maggiormente le vittime della schiavitù moderna nel Regno Unito. C'è però un grosso punto interrogativo: «Il “Modern Slavery Bill” – ha spiegato Parosha Chandran, attivista per i diritti umani ed esperta di traffico umano per le Nazioni unite – è stato purtroppo redatto male e fallisce inevitabilmente nel proteggere i diritti dei bambini contrabbandati».

Anche nel fortunato caso in cui un bambino venga sottratto ai suoi aguzzini e portato sotto l'ala delle autorità locali, è infatti altamente probabile che questo ritorni nel giro di poco tempo nuovamente nelle grinfie dei trafficanti. Stando a quanto riporta la commissione indipendente del Centre for Social Justice, una volta sotto l'autorità locale, solo il 40% dei bambini vittima di traffico umano ha effettive possibilità di venire veramente tutelato ed eventualmente reinserito: la restante parte si perde dopo la prima settimana di affidamento, molti di questi non vengono mai più rintracciati.

Questa è di certo una di quelle storie che non si vorrebbero mai leggere: il traffico e lo sfruttamento dei bambini sono attività abominevoli che però trovano il modo di inserirsi nei buchi che la legge volutamente lascia aperti. In Inghilterra la detenzione e il consumo di cannabis sono tollerati ma, proprio come in Italia, la produzione cade sempre nel penale – non importa quante siano le piante effettivamente coltivate. Se si legittima la domanda di cannabis ma si condanna e si persegue l'offerta, allora per le mafie – soprattutto queste mafie che usano i bambini come scudo, prima di tutto legale – ci sarà sempre un ampio spazio di manovra.

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