Cortine di fumo da Washington?

Exitable
16 Jun 2015

Verso la United Nations General Assembly Special Session del 2016


Verso la United Nations General Assembly Special Session del 2016

L'Assistente Segretario di Stato statunitense, il texano William Brownfield, ha recentemente criticato la decisione del governo giamaicano di esplorare la possibilità di decriminalizzare il consumo di cannabis e di legalizzarne la coltivazione per utilizzi terapeutici. Sottolineando però la necessità e la possibilità di politiche diversificate sull'argomento da parte dei singoli stati.

 

Ancora una volta Washington fa capire agli stati considerati facenti parte del cortile di casa come, nella loro autonomia, siano comunque tenuti a comunicare i cambiamenti di programma dalla linea della war on drugs. Una linea che gli USA hanno reiterato anche alla vigilia della 58ma Conferenza sui Narcotici di Vienna, nei confronti dei paesi che si sono schierati con la Global Commission e di cui fanno parte numerosi ex capi di stato da Bill Clinton alla ex presidentessa svizzera Ruth Dreifuss.

È palese la contraddizione dell'amministrazione Obama tra la propria politica interna e quella estera di difesa integralista della Convenzione Unica, percepita da molti come il catenaccio da smantellare per poter cambiare rotta dopo il fallimento della guerra alle droghe. Pur mantenendo la dottrina Brownfield sull'elasticità delle Convenzioni, gli USA intendono smorzare le spinte per un processo di riforma dei trattati e alla libertà di coltivare.

Da sempre gli USA operano in un regime di legalità variabile. Basti pensare al ruolo dei servizi segreti e ai gruppi armati di ogni latitudine che, approfittando del mercato delle droghe, dispongono di una tremenda arma di ricatto e condizionamento fin dai tempi della Guerra Fredda. Ma i rischi di una politica di questa legalità a geometria variabile superano ampiamente i confini statunitensi e sono di duplice natura. Una tale architettura potrebbe avere delle ricadute estremamente negative nell'ambito del diritto penale internazionale e dei diritti umani.

Parte del fronte progressista pare paralizzato tra la speranza che qualcosa cambi o che qualcosa di buono possa piovere dall'alto. Ci si rende conto che la richiesta di una revisione radicale dei trattati potrebbe far scattare una guerra di trincea che scardinerebbe la logica garantista che sottintende la costituzione delle Nazioni Unite, sorte alla fine della guerra anche per evitare future catastrofi ma che sulle politiche delle droghe è divenuta parte del problema, più che della soluzione.

Nel regime delle Nazioni Unite gli USA continuano però a godere di un regime extra-giuridico, non solo per il loro diritto di veto, ma per le loro deroghe in tema di tortura, esecuzioni e detenzioni extra-giudiziarie e ultima ma non per importanza, la commercializzazione e produzione di cannabis che li mette in palese contrasto con le convenzioni internazionali.

Per Martin Jelsma del progetto Droghe e Democrazia del Transnational Institute di Amsterdam, nel caso della UNGASS si tratta di permettere un dialogo aperto e non preconfezionato che possa permettere ulteriori sviluppi ed aggiustamenti. È quello che ci si aspetterebbe se la maggior parte dei paesi, compresa l'Italia, non operasse per inerzia.

Nonostante il fallimento, sono poche le voci che chiedono di saltare il fosso con una proposta di riforma sostanziale. Lo ha fatto il gruppo dei tutori dell'ordine contro il proibizionismo, LEAP che ha chiesto di togliere la cannabis dall'elenco delle sostanze “controllate” e di inserivi tabacco ed alcool e che molto probabilmente sarà al centro del movimento per cambiare lo stato delle cose presenti all'UNGASS 2016.

William Brownfield, l'ispiratore della dottrina che porta il suo nome, con un passato di ambasciatore in Cile, Colombia e Venezuela, si é trovato in quest'ultimo paese al centro di una violenta polemica con Hugo Chavez che per quasi due anni lo aveva minacciato di cacciarlo a pedate dopo aver allontanato gli agenti della DEA. È probabile che Brownfield conosca tutto l'armamentario di oppressione e di repressione di cui l'America latina si sta in parte liberando e che cerchi di mantenere parte di quella influenza nelle politiche attuali.

Com'è noto i paesi dell'area hanno chiesto ed ottenuto la convocazione straordinaria dell'Assemblea Generale ONU dopo il fallimento della precedente del 1998 lanciata dall'italiano Pino Arlacchi con uno slogan tanto forte quanto irrealistico: “Un mondo libero dalla droga:possiamo farcela”.

Brownfield rappresenta in qualche modo la linea mediana tra due mondi inconciliabili e che cerca di far quadrare il cerchio tra la Costituzione e i trattati, finora difesi a spada tratta e la cui modifica viene percepita come un evento catastrofico, tanto che il direttore del' International Narcotic Control Bond, Lochan Maidoo, ha insistito ancora una volta a Vienna sulla necessità di non cambiare nulla.

Per Brownfield, la Giamaica “come tutti i paesi del mondo deve affrontare le proprie preoccupazioni all'interno della propria realtà, ma allo stesso tempo accettare di aver ratificato e, che per questo, di avere un obbligo legale al rispetto dei termini delle tre convenzioni internazionali sulle droghe....Detto questo,la mia posizione è stata definita piuttosto chiaramente all'inizio; dobbiamo avere tolleranza ed accettare che diversi paesi affronteranno le loro questioni di droga con modalità differenti”.

Di fronte a questa strampalata dottrina alcuni progressisti tendono ad adottare una linea accomodante che pare accompagnare le pressioni statunitensi e l'inerzia soporifera di molte plenarie della Commissione Narcotici di Vienna. Una chiave di lettura di questo fenomeno ce la fornisce Howard “cowboy” Woolridge, un ex agente di polizia che ha attraversato a cavallo gli USA per denunciare le malefatte del proibizionismo. Secondo Howard alcuni preferiscono agire come l'esercito tedesco che invece di attaccare la Francia sulla linea Maginot decise di passare per il Belgio. Il simpatico cowboy pare ignorare il fatto che i nostri piccoli gruppi di attivisti, a differenza dei fondamentalisti della guerra alle droghe di stampo religioso, non intendono far passare con la forza una soluzione buona per tutti né utilizzano carri-armati e bombe a mano.

 

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