Curarsi in Italia oggi

Exitable
09 Sep 2014

Intervista a A., dell'associazione Pazienti Impazienti Cannabis (PIC, www.pazienticannabis.org), che grazie alla sua esperienza di paziente sieropositivo, ci propone in modo esaustivo i vantaggi e i problemi derivati dal curarsi con la marijuana in Italia.


Intervista a A., dell'associazione Pazienti Impazienti Cannabis (PIC, www.pazienticannabis.org), che grazie alla sua esperienza di paziente sieropositivo, ci propone in modo esaustivo i vantaggi e i problemi derivati dal curarsi con la marijuana in Italia.

Intervista a A., dell'associazione Pazienti Impazienti Cannabis (PIC, www.pazienticannabis.org), che grazie alla sua esperienza di paziente sieropositivo, ci propone in modo esaustivo i vantaggi e i problemi derivati dal curarsi con la marijuana in Italia.

Perché usi la marijuana? Quali sono i benefici che avete riscontrato tu e altri dei PIC?
«Utilizzo la marijuana terapeutica per curare l'HIV e rispetto agli altri pazienti senza questa prescrizione, sto meglio: mangio e ho un umore migliore, per esempio.

Alla mia età (59 anni) tanti malati con la stessa patologia da così tanti anni (20-25), sono in declino, io invece sono in piena attività, quando posso viaggio e molta energia e determinazione la ottengo dalla marijuana.

A volte negli ospedali fanno preoccupare molto i pazienti, anche nei reparti di oncologia, per esempio, e le persone si lasciano andare, non combattono. La marijuana, invece, anche psicologicamente, ti fa affrontare meglio le malattie. Se hai delle motivazioni per vivere, ti fa scendere in profondità, le tira fuori e queste diventano più grandi dei effetti negativi della malattia. Contrariamente a quello che dicono, quindi, la cannabis non provoca la sindrome amotivazionale, ma ti fa veder senza filtri, dandoti la consapevolezza della situazione.

I proibizionisti, da una superficiale osservazione dei militari americani in Vietnam, non più volenterosi di combattere dopo aver assunto di marijuana, hanno invece dedotto la teoria della “sindrome amotivazionale”, secondo la quale il consumo di marijuana mal dispone a qualsiasi attività. In realtà questa sindrome non esiste. Semplicemente, i soldati americani, con il consumo di marijuana iniziavano a farsi delle domande sul perché fossero lì, cosa stessero facendo e, sentendo di essere dalla parte del torto, perdevano la volontà di combattere. A rendere confutabile questa teoria il fatto che anche i soldati vietnamiti, impegnati a difendere il loro territorio, assumevano a loro volta marijuana. I vietnamiti, però, sospinti della marijuana, ottenevano una maggior determinazione nel combattimento.

Se fai una cosa in cui credi, la marijuana da molta forza per andare avanti; se tu invece fai una cosa in cui non credi, senza cuore, non riesci a farla e l'assunzione di marijuana diventa negativa. Dipende da te, dalle persone, non dalla cannabis.

La marijuana da un effetto e quello opposto, non come il valium, per esempio, che fa lo stesso effetto a tutti. Essendo legata a molti processi del corpo, qualcuno con la canapa si rilassa, altri diventano reattivi. Ecco perché i medici non la prescrivono. Loro preferiscono usare una sostanza che fa a tutti lo stesso effetto.

La marijuana, invece, anche per la stessa patologia, su persone diverse, ha effetti dissimili.

Per esempio, nella sclerosi multipla, l'amico Pino Cucci aveva preferenza per le varietà Indica (si trovava benissimo con la Babilonia di Semitalia.it), rilassante per i muscoli, e un grammo gli bastava per giorni. L'amica Anastasia, invece, con la stessa malattia, ne fumava di più, preferiva Bedrocan®, una varietà Sativa, energizzante, con THC al 19-21%, perché aveva astemia (muscoli deboli). Fumando canapa Indica, al contrario, si rilassava e non riusciva più ad alzarsi dalla sedia. Ad Anastasia, la Sativa con alto contenuto di THC dava invece quella giusta carica di energia e stava in giro tutta la mattina, attiva, per casa, da una stanza all'altra. Inizialmente i suoi genitori, molto conservatori, erano contrari, ma quando hanno visto la figlia stare bene, hanno accettato subito la cosa e la madre e diventata addirittura una sostenitrice, frequentando gli incontri dei PIC».

Conoscevi la marijuana prima di utilizzarla in modo terapeutico?
«Prima di utilizzare la marijuana a uso terapeutico la utilizzavo a scopo ricreativo, per rilassarmi, ma soprattutto a uso creativo».

Quali varietà di cannabis preferisci?
«La questione è soggettiva, non esiste un seme per uso terapeutico e solo io so quale meglio per me. Ho una prescrizione per il Bedrocan® e una per il Bediol®.

Ancora adesso, a livello terapeutico, preferisco le varietà Sative, con effetto più cerebrale che fisico, per la lucidità che lasciano alla mente e per il fatto di farti vedere delle cose che non noti normalmente. Continuo a preferire la Sativa, anche per una questione di età. Se fumo Indica, ma anche il Bedrobinol®, un ibrido Indica-Sativa, ottengo un effetto calmante e rilassante, ottimo per il riposino, ma magari faccio fatica a muovermi. Alla mia età preferisco quindi la Sativa energetica, salvo i rari casi in cui sono molto eccitato, come, per esempio, quando ho passato una notte a scrivere e ho bisogno di dormire».

Hai difficoltà di approvvigionamento?
«L'ASL di Roma A è stata la prima ad avere il Bedrocan® ed io sono stato il primo paziente in Italia, grazie a una dottoressa molto brava che è riuscita a trovare tutte le pieghe della legge per dare la marijuana terapeutica gratis a tutti i suoi pazienti che ne avevano bisogno. Con i tagli alla sanità, però, hanno chiuso l'ospedale e l'ASL che mi forniva la marijuana gratuitamente in Day Hospital.

Quando hanno chiuso l'ospedale, è rimasto un ambulatorio, mi sono recato li, e ho spiegato a un'altra dottoressa come da cinque anni utilizzassi la cannabis per curare HIV e gli effetti relativi come inappetenza, il dimagrimento e il deperimento organico, ma mi sono sentito dire che perché deambulo, cioè cammino, non ne ho diritto. Questa dottoressa, come altri medici, aveva quindi l'idea che la cannabis fosse per persone sulla sedia a rotelle, perché hanno visto malati di sclerosi multipla riprendere a muoversi sulle due gambe. Con la mia malattia, invece, se non cammini, significa che sei al termine, come con il cancro».

Come pensi di organizzarti?
«Devo ricominciare tutto da capo, trovare l'ambulatorio e un ASL disponibile a prescrivermela con il Day Hospital, altrimenti la devo pagare e costa 700-800 euro ogni due mesi. Una cifra esorbitante per me, ma anche per altri pazienti costretti a pagarsela nonostante malattie molto debilitanti, che non permettono di guadagnarsi da vivere con un lavoro adeguatamente retribuito. In questo periodo di crisi economica, inoltre, è anche più difficile fornirla gratuitamente anche per l'ASL.

In qualche modo devo comunque risolvere la situazione, io ho visto quanto sto meglio quando la uso. Se non facessi uso di cannabis, starei molto peggio, non potrei andare in viaggio, in giro con la Vespa e così non potrei fare tante cose, invece sono anni che non prendo una febbre, un'infezione, niente».

Che rapporto hai avuto con i farmaci in questi anni?
«Ho rinunciato ai farmaci chimici per diversi anni. All'inizio, nel 1994-95, prendevo i farmaci antiretrovirali per l'HIV (HAART, Highly Active Anti-Retroviral Therapy, terapia antiretrovirale altamente attiva, che descrive l’uso contemporaneo di tre o più farmaci antiretrovirali), successivamente li avevo sospesi nel 2004. A quel tempo potevo sospendere in accordo con il medico, ora non più. Sono farmaci molto tossici e sospendendoli per qualche mese il corpo si ripulisce. A due-tre mesi dalla sospensione i valori peggiorano, il virus sale e i valori del sistema immunitario scendono, molti si spaventano e subito riprendono la cura. Io invece sapevo di questa cosa, ho resistito un altro mese e mezzo, i valori hanno ricominciato a salire e il virus a scendere, fino a stabilizzarsi a un livello abbastanza buono. Sono andato avanti così per sei-sette anni, quando al massimo altri sospendevano per un anno, pochi erano arrivati a due. Al tempo, i medici in ospedale m’inducevano a ricominciare con i farmaci e non andare in viaggio in India, per esempio, come da mie intenzioni, perché è ritenuta una nazione piena di batteri. Quando hanno visto che non succedeva niente, però, monitorato ogni due mesi in ospedale con visita e prelievo del sangue, si sono ricreduti».

Il rapporto con le Istituzioni?
«Negli anni '90 potevi avere cannabinoidi sintetici come Marinol e il Nabilone, mentre i cannabinoidi naturali come Bedrocan® sono disponibili solo dal 2003, ma con il Governo Berlusconi e Storace come Ministro della Salute, è stato impossibile ottenerli. Feci richiesta per il Bedrocan® al Ministero della Salute nel 2004, ma, non avendo risposto, nonostante fossero per legge obbligati a replicare alla mia richiesta, feci una diffida a Storace. A quel punto il Ministro rispose assurdamente, asserendo come secondo l'UNODC, la cannabis non ha effetti terapeutici, andando a citare l'Ufficio delle Nazioni Unite su Droga e Crimine, che non centrava niente.

Giunto il 2006, con Livia Turco al Ministero della Sanità, è diventato possibile importare i farmaci cannabinoidi naturali. Abbiamo capito che il Ministero avrebbe accettato, ho mandato subito la richiesta, immediatamente è stata approvata. La dottoressa infettivologa che mi curava all'ospedale Gemelli non me li ha potuti prescrivere perché l'ente era cattolico e rischiava il licenziamento solamente a accennare la questione. La dottoressa, invece, è stata disponibile a dare la sua approvazione telefonica al mio medico: si sono parlati, la dottoressa ha detto al medico che già utilizzavo la marijuana da anni, senza problemi e con diversi vantaggi, quindi di prescrivermi tranquillamente il Bedrocan®.

In quel momento, oltre all'Olanda, solo in Italia c'era il Bedrocan®, ora invece si trova chi lo usa anche in Finlandia, Svizzera e Germania. La questione è iniziata particolarmente bene, con rapporti diretti con il ministero della Salute Olandese, che ancora adesso, sul proprio sito web, ha tra i sette-otto link riportati, anche quello dei Pazienti Impazienti Cannabis».

Con la marijuana, com'è cambiato il rapporto con i farmaci?
«Nel 1994-95 avevo la prescrizione di parecchie pastiglie antiretrovirali da assumere dopo il pasto, altre a digiuno, alcune senza grassi o senza succo di agrumi. All'inizio cerchi di adattarti, ma dopo poco viene la repulsione automatica verso il cibo, perché lo vedi come funzionale alla cura. Se non hai fame, per esempio, devi mangiare lo stesso perché gli associ la medicina; devi mangiare questo e non quello, ti viene la diarrea. Il rapporto con il cibo s'inclina, e si finisce con perdere appetenza, peso e molti pazienti a questo punto interrompono la cura. Assumendo cannabis, invece, tornano l'appetito, il gusto per il cibo e puoi continuare a curarti. Ho, così, riacquistato peso e cominciato a stare meglio.

Non a caso in Tibet, per esempio, quando stai male, a differenza che in Occidente dove ti danno un semplice riso in bianco e un brodo, ti fanno proprio mangiare bene, in modo che il corpo abbia più armi per difendersi».

Come ti curavi prima di ottenere la ricetta per il Bedrocan®?
«Sono andato tre anni in India, dove la marijuana non manca. In quel periodo mi sono accorto che puoi assumere la cannabis anche per un anno o due, quotidianamente, anche più volte il giorno, senza sentire l'astinenza quando ti ritrovi, per esempio, per una settimana in un posto dove non puoi averla. Nemmeno ci pensi che ti manca, mentre con altre sostanze come gli oppiacei, ma anche con il caffè, non è così e senti forti dipendenze. In questo periodo, in particolare, mi sono quindi accorto della validità della terapia, del fatto che la marijuana offre molti vantaggi senza in concreto chiederti niente in cambio».

Quale rapporto hai con le Associazioni?
«Sono socio dei Pazienti Impazienti Cannabis e in relazione con Associazione Cannabis Terapeutica, ASCIA (la coalizione per la legalizzazione della canapa che è riuscita ad aggregare varie realtà a tema), Canapuglia, i Radicali dell’Associazione Luca Coscioni ed ENCOD a livello europeo.

Con soddisfazione, da circa quattro anni, da quando ci siamo riuniti nel gennaio 2011 da Giancarlo Cecconi ed è stata fondata l'Ascia, siamo riusciti a unire il movimento che prima, invece, era molto frammentato, con ogni associazione per la sua strada. Siamo riusciti a superare le differenze e ora siamo uniti.

Quando, per esempio, è stato presentato il progetto di legge per l'erogazione dei farmaci cannabinoidi in Toscana, è passata in commissione, ma il partito PD l’aveva deviata per rendere la cannabis disponibile solo ai malati terminali e per le cure palliative. Come associazioni ci siamo presentati compatti e abbiamo detto che noi non ci stavamo e avremmo avviato uno scontro brutto. Ci hanno ascoltato e in commissione è stata presentata una legge che prevede l'uso della cannabis terapeutica per tutte le patologie invalidanti, sulle quali esistono documenti scientifici in grado di certificare la validità della marijuana. Se fosse passata una legge sbagliata in una ragione come la Toscana, la prima a vagliare la proposta, in seguito le altre avrebbero seguito a ruota. In Toscana doveva passare una legge giusta e così è stato, con l’approvazione del progetto di legge, a inizio Maggio del 2012.

Se lo avessimo detto solo come PIC, non ci avrebbero nemmeno ascoltato. Parlando, invece, come ACT, PIC, Luca Coscioni e Lila Toscana (Lega Italiana Lotta contro l'Aids), la forza di urto è stata molto maggiore. Siamo riusciti a organizzare un convegno a Firenze con l’esperto dottor Grinspoon e gli esponenti del Ministero della Salute olandese, prima che partisse la legge, per sensibilizzare sulla questione. Il fatto che si sono prevaricate le differenze tra le associazioni è quindi molto importante per raggiungere i migliori risultati possibili.

Sono iscritto solo ai PIC, ma, avendo un obiettivo comune con le altre associazioni, ho relazioni e m’immedesimo nel socio dell'ACT per le connessioni con medici e l'ASL, mentre per l'autocoltivazione ne parlo con l'ASCIA. Queste relazioni tra associazioni creano dei ponti. Quando serve, poi, ci si muove insieme e si ottengono risultati maggiori rispetto a andare sparsi.

Tutto questo, purtroppo, però, non serve a favorire le prescrizioni da parte dei medici».

Come vedi, quindi, la questione tra l’illegalità e la prescrizione medica?
«In Italia (58 milioni di abitanti) ci saranno 100 pazienti con la prescrizione, mentre in Canada (34 milioni di abitanti) sono 19.000 le ricette per la marijuana terapeutica. Sono quindi almeno 20.000 i pazienti italiani bisognosi, ma la prescrizione non avviene perché il medico non vuole o l'ASL non ha i soldi, o per altri mille motivi e scuse. 20.000 pazienti sono quelli per cui il medico dovrebbe prescriverla senza nemmeno battere ciglio, dopo ci sono tantissimi altri. Non è giusto che tutti questi pazienti stiano ad aspettare, perché nel frattempo sono malati. Se esiste il diritto alla salute, chiarito in tutte le Convenzioni Internazionali, dalle Nazioni Unite, all'Italia e l'America, è perché deve essere rispettato, altrimenti non è un diritto.

I malati non in grado di avere accesso alla cura, per come la vedo io, sono autorizzati ugualmente a curarsi. Persone come Robert Randall, malato di glaucoma e primo negli Stati Uniti ad avere spinelli terapeutici dallo Stato dopo la proibizione, stavano per perdere la vista a un occhio. È normale fare qualsiasi cosa, legale o non, pur di salvare la vista e non è giusto il paziente possa essere punito.

L'articolo 54 del codice penale chiarisce come lo "Stato di Necessità" sia causa di giustificazione: "Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo".

Ciò vale anche per la salute e per difenderla puoi fare cose che per altri sono illegali.

Tra i malati in attesa, infatti, c'è chi aspetta anni, c'è chi va al mercato nero, chi coltiva, e molti hanno problemi in famiglia, per far accettare questa cura, o problemi con la legge. Vedi il caso di Fabrizio Pellegrini, reo di coltivare qualche pianta di marijuana per curare l'artrite reumatoide, che ogni anno si trova la polizia in casa per il sequestro delle piante.

Fabrizio è un artista geniale, musicista e pittore, in difficoltà economiche e l'ASL gli aveva chiesto 800 euro, per 3 mesi di terapia con la marijuana. Lui non aveva questa disponibilità monetaria e come PIC, per un anno, abbiamo fatto una colletta nazionale solo per lui. La colletta non poteva però essere rinnovata ogni anno, anche perché altri avevano lo stesso problema. O si faceva per tutti – ma non era possibile – o per nessuno.

I carabinieri sapevano della coltivazione personale di Fabrizio e andavano a colpo sicuro, esasperando pure la madre, con cui vive. Lo fermavano per strada, anche senza motivo, gli trovavano una canna in tasca di erba nostrana e si recavano a casa sua. Fabrizio non nascondeva la cosa e lo diceva tranquillamente alla Polizia di avere del verde in coltura a casa.

A un certo punto, i carabinieri sono pure riusciti a convincere la madre, ottantenne, a denunciare il figlio. La cosa è andata avanti fino a quando la madre si è resa conto di quanto costasse economicamente il processo.

Questo problema con i familiari spaventati dalla legge e dalle forze dell'ordine, per i pazienti che vorrebbero coltivare una o due piante per necessità terapeutiche, così come possibile in Spagna, per esempio, è una fregatura oltre la malattia. In realtà si tratta di una cosa spaventosa: lo Stato dovrebbe assistere una persona malata rispettando le sue scelte, invece gli rovina la casa con perquisizioni e fa un numero incredibile di storie coinvolgendo avvocati e ASL.

La situazione non può andare avanti così, sicuramente ci inventeremo qualcosa per migliorare la vita di moltissime persone. Qualcosa di positivo sta pure accadendo con la Regioni e alcune iniziano a prendere la giusta direzione.

La condizione generale non è per niente rosea, ma se i diritti uno non se li prende nessuno glieli regala. A quel punto, quando te li prendi, i politici sono obbligati a rincorrere la società: o arrestano 40.000 malati oppure cambiano la legge».

Morale della favola, il proibizionismo rende marcia la vita, da quella del poliziotto che sequestra la piantina domandandosi perché, a quella del dottore che vive nell’ignoranza e nella paura della prescrizione, passando ovviamente per quella del paziente che deve recarsi dal pusher tra mille paure, che generano irritazione, esasperazione e schizofrenia, determinate dal velo oscuro dell’ignoranza, penombra ora che la marijauna è tornata nella classifica delle erbe leggere, in cui avviene la produzione, la compra-vendita e il consumo di ciò che per i nostri avi è stato semplicemente naturale. 

Ciò può portare a compiacere persone, così come impone nella società con genitori, colleghi, capi, oltre la necessità della propria interiorità, a discapito dei sentimenti veri, sempre utili per una pronta guarigione.

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