Il popolo è sovrano?

Soft Secrets
24 Jan 2012

Tra raccolte firme, referendum e proposte di legge, siamo davvero sicuri che le decisioni della cittadinanza valgano qualcosa ai "piani alti"?


Tra raccolte firme, referendum e proposte di legge, siamo davvero sicuri che le decisioni della cittadinanza valgano qualcosa ai "piani alti"?

Lo scorso 7 dicembre, a ridosso della conferenza stampa con cui il nuovo governo ci ha illustrato con austerità e commozione la cosiddetta manovra "lacrime e sangue", è stata presentata al Senato della Repubblica da Roberto della Seta e Francesco Ferrante (entrambi esponenti del PD) la proposta di legge numero 3034 recante la dicitura "Norme per la legalizzazione dei derivati della cannabis indica". Ma non stupitevi, questa non è la prima volta che accade. Il testo è lo stesso testo presentato nelle precedenti legislature da alcuni deputati verdi, Franco Corleone prima e Marco Boato poi, e che basandosi sugli studi economici del professor Marco Rossi (intervistato in questo numero da Enrico Fletzer) aveva avuto il sostegno di numerosi deputati in maniera trasversale.

Una proposta in cinque punti che sommariamente potrebbe essere riassunta così. L'articolo 1 stabilisce le condizioni generali attraverso cui si ritiene possibile attuare il passaggio da un impianto di tipo proibizionistico ad un impianto di tipo legale della distribuzione delle droghe cosiddette "leggere": si ritiene adeguata allo scopo una norma che consenta la coltivazione a fini di commercio, l'acquisto, la produzione e la vendita di cannabis indica e dei prodotti da essa derivati. L'articolo 2 fissa poi le sanzioni penali e la revoca della autorizzazione per chi violi il divieto di vendita ai minori di sedici anni, o che consenta agli stessi minorenni il consumo all'interno dei propri locali.
L'articolo 3 definisce la non punibilità della coltivazione per uso personale di cannabis indica e della cessione a terzi di piccoli quantitativi destinati al consumo immediato ma ribadisce la vigenza delle norme di cui all'articolo 73 del famoso testo unico sulle droghe per chi coltivi, acquisti, produca o venda pur essendo sprovvisto delle autorizzazioni necessarie.

L'articolo 4 stabilisce il divieto di propaganda pubblicitaria diretta o indiretta della cannabis indica o dei prodotti da essa derivati e le relative sanzioni, fatte salve le opere dell'ingegno non destinate alla pubblicità e tutelate dalla legge sul diritto d'autore.

L'articolo 5, infine, stabilisce che il Presidente del Consiglio presenti una relazione annuale sullo stato di attuazione della legge e sui suoi effetti, fissandone alcuni parametri di valutazione legati al consumo, alle sue caratteristiche, al rapporto tra consumo di droghe "leggere" e altre droghe, all'eventuale persistenza del mercato nero e agli accordi eventualmente conclusi in sede internazionale con i Paesi produttori di cannabis indica.

Tutto molto bello, anzi addirittura consolatorio se si tiene conto che una misura del genere potrebbe portare benefici alle casse statali senza gravare sui cittadini ma, al contrario, fornendoli di uno strumento in più di scelta e di fondamentale libertà. Peccato che il testo probabilmente non verrà nemmeno discusso, vediamo perchè.

Innanzitutto il dato politico: il nuovo supergoverno tecnico finora non ha minimamente preso in considerazione di adottare provvedimenti che non siano meramente fiscali e/o penalizzanti per la stragrande maggioranza della popolazione. Un governo tecnico che di fatto sta più a destra di quanto non lo fosse il già pessimo esecutivo che l'ha preceduto - e che strizza volentieri l'occhio alla summa casta d'oltre Tevere - è difficile che autorizzi un provvedimento così "sinistrorso". Monti e company hanno già dimostrato quale sia il loro modello di riferimento per batter cassa e se hanno preferito mettere mano alle pensioni piangendo - vedi la neoministra Fornero -, piuttosto che abbattere i costi della politica, allora è ovvio che hanno idee completamente divergenti dalle nostre rispetto a quali siano i valori da difendere in questo particolare momento storico, antiproibizionismo in primis.

Quando si parla di liberalizzazione delle droghe leggere si parla di qualcosa che gli italiani avevano già deciso e approvato 19 anni fa.

C'è poi un altro fattore non trascurabile, ovvero quello dell'impossibilità in questo Paese di raggiungere e provare a mantenere una qualsiasi decisionalità orizzontale. Quando si parla di liberalizzazione delle droghe leggere bisogna infatti ricordare che si parla di qualcosa che gli italiani avevano già deciso e approvato 19 anni fa. Nell'ormai lontanissimo 1993 il pacchetto di referendum promosso dal Partito Radicale, oltre a richiedere l'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, contemplava anche un quesito riguardante l'abrogazione della persecutorietà penale della detenzione di sostanze stupefacenti. Il 55,4% dei votanti si espresse favorevolmente alla depenalizzazione ma così come fu per il finanziamento pubblico ai partiti, la politica trovò il modo di bypassare la volontà popolare, invalidando di fatto il risultato di una consultazione considerata costituzionalmente vincolante per il Parlamento - che in quanto diretta rappresentanza dei cittadini, non potrebbe disciplinare in maniera identica la materia così come abrogata dalla consultazione popolare. Ma si sa che in Italia il condizionale è d'obbligo.

Colpisce e spesso rincuora vedere online pagine su pagine dedicate a raccolte firme, petizioni o quant'altro possa incidere sulla decisionalità istituzionale - nel nostro caso in materia antiproibizionista - ma purtroppo, nella realtà dei fatti, la buona volontà di moltissime persone si limita a quello che con un neologismo figlio del boom dei social network potrebbe essere definito "clicktivism". Un comportamento che utilizza internet come mezzo primario per influenzare l'opinione pubblica, ma che rimanendo nella sfera virtuale non riesce a restituire il potenziale umano che solo l'attivismo vero e proprio ha. Così come affidarsi a dei parlamentari, in questa storpiata concezione di democrazia, ha poco senso dal momento che, come ci è stato dato di vedere in 66 anni di storia repubblicana, l'obbligo di rappresentanza si sbriciola dinanzi all'interesse particolare. E sappiamo tutti che questo interesse non coincide praticamente mai con il bene della cittadinanza.

Spiace rovinare l'entusiasmo a quanti leggendo le prime righe avranno esultato, ma il Natale è ormai passato, la crisi è diventata qualcosa di esistenziale e il cinismo, arrivati a questo punto, è d'obbligo. E poi se mi chiamo Dark un motivo ci sarà!

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