Free Growing? Anche no

Soft Secrets
01 Oct 2011

Molti di noi avranno esultato quando, lo scorso 28 giugno, è uscita la notizia che la Cassazione romana aveva abbonato la coltivazione di una piantina di marijuana ad un giovane calabrese. Alcuni avranno esultato ancor di più sapendo che nello stesso giorno il sottosegretario Carlo Giovanardi presentava in Parlamento la sua contestatissima relazione annuale sulle tossicodipendenze. Purtroppo però non è tutto rose e fiori e il giubilo e il gaudio che hanno accompagnato la notizia, dato che siamo in Italia, dovrebbe lasciare spazio alla solita terribile frustrazione. Ma andiamo per ordine.


Un ventitreenne di Scalea, provincia di Cosenza, viene denunciato e processato perché beccato in flagrante a coltivare sul balcone del proprio appartamento una piantina di cannabis sativa. Il giovane viene assolto ma il procuratore generale della corte di Appello di Catanzaro decide comunque di ricorrere contro l'assoluzione appellandosi all'estremo grado di giudizio, ovvero alla Cassazione romana. Lo scorso 27 giugno, sui giornali italiani, cartacei e online, titoli cubitali raccontavano l'assoluzione del ragazzo e di come il growing domestico di marijuana fosse stato definitivamente sdoganato: secondo la suprema Corte la coltivazione di una sola pianta di canapa indiana "non è idonea a porre in pericolo il bene della salute pubblica o della sicurezza pubblica".

“Anche se i giudici di Cassazione danno ragione a uno, non è detto che la stessa cosa valga per te, che magari sei costretto a metterti nelle mani di altri giudici che, probabilmente, non la pensano come i primi".

Nella sentenza si legge che, la "modestia dell'attività posta in essere emerge da circostanze oggettive di fatto", in questo caso la coltivazione di una piantina in un piccolo vaso sul terrazzo di casa con un principio attivo di 16 microgrammi, è un comportamento da ritenere "del tutto inoffensivo e non punibile anche in presenza di specifiche norme di segno contrario". Stando alla Suprema Corte, infatti, in primo luogo la legge penale non stabilisce specifiche pene per la coltivazione modica di sostanze stupefacenti; ma, soprattutto, non si può condannare un cittadino, sebbene in violazione di legge, laddove questa violazione non sia offensiva per nessun interesse tutelato o bene protetto dalla legge. In particolare la Cassazione, per sdoganare dalla soglia di rilevanza penale il possesso della piantina di canapa indiana, fa riferimento a un principio giuridico - per la precisione quello del nullum crimen sine iniura - che, sebbene timidamente abbia già fatto capolino nella giurisprudenza di merito e di legittimità, in definitiva tira in ballo la necessità che il possesso limitato di piante o principi droganti non sia necessariamente in grado di procurare danni. In pratica, ad avviso dei supremi giudici occorre sposare la linea di giudizio che individua nella problematica dell'offensività la leva di sentenza. Con la sentenza numero 25674, la suprema Corte pare quindi aver aperto le porte alla possibilità di coltivare una pianta di "maria" sul balcone di casa. Dopo anni di battaglie legali, ricorsi e sentenze in Cassazione, che negli anni hanno in maniera quasi alternata, stabilito la liceità o meno della coltivazione privata della cannabis, sembra essersi aperto uno spiraglio contro l'estremo proibizionismo. Sembra, perché, è bene ricordarlo, grazie al giornalismo italiano il modo condizionale (quello dei verbi, per intenderci) viene centellinato in favore dei toni trionfanti e assolutamente risolutori delle notizie da ombrellone, trasformando le possibilità in certezze.

Messa giù nel modo strombazzato dai media nostrani, la sentenza resa pubblica lo scorso 27 giugno risulta effettivamente essere rivoluzionaria in termini di permissività nei confronti della coltivazione domestica e della marijuana in generale, ma purtroppo per noi le cose sono ben lungi dal cambiare in modo così repentino e simmetrico. Spesso si sente dire che una sentenza di Cassazione "fa giurisprudenza" ma altrettanto spesso si dimentica di precisare che il nostro non è un Paese a "common law" di matrice anglosassone (N.d.a. Il sistema del common law è un modello di ordinamento giuridico basato appunto sulle decisioni giurisprudenziali più che sui codici e sui decreti governativi) e che perciò le sentenze della suprema corte, pur costituendo un indirizzo - in particolar modo i pronunciamenti a sezioni unite - anche molto forte, non tutelano nel caso individuale. Detto in parole poverissime, anche se i giudici di Cassazione danno ragione a uno, non è detto che la stessa cosa valga per te, che magari sei costretto a metterti nelle mani di altri giudici che, probabilmente, non la pensano come i primi e hanno validi motivi per affermarlo. Detto in parole ancor più scabre: una sentenza di Cassazione non ti para il culo.

" Anche se i giudici di Cassazione danno ragione a uno, non è detto che la stessa cosa valga per te, che magari sei costretto a metterti nelle mani di altri giudici che, probabilmente, non la pensano come i primi„

Il caso del ventitreenne calabrese non è emblematico, eppure nessun organo di stampa interessatosi alla vicenda ha insistito nel sottolineare che la quantità di principio attivo contenuto nella piantina coltivata sul balcone era di soli 16 microgrammi. Un quantitativo assolutamente irrisorio che non poteva non essere usato come capo di difesa e allo stesso tempo accolto come plausibile. Nessuno che si sia degnato di dire che non è che non ti arrestano più se ti beccano con un piantagione o una piantina in casa. Sfiga volesse che un'improvvisa perquisizione scopra anche solo un vaso della nostra pianta preferita, ed ecco che lo sfortunato grower sarebbe comunque denunciato, processato in tre gradi - con tutti i costi e gli oneri del caso - e, se decisamente sfigato, condannato alla pena detentiva o pecuniaria. A dimostrazione di quanto appena detto sopra, questa stessa rubrica, che in ogni numero cerca di riportare in modo puntuale tutte le contraddizioni giuridiche (e sono veramente tante) che mano a mano emergono per quanto riguarda il mondo della cannabis.

Certo non siamo così meschini dal volervi privare del tutto della gioia provata al momento della notizia. Se qualcosa di positivo c'è in questa faccenda, è certo l'apertura che i giudici hanno dimostrato giudicando secondo il principio del "non c'è reato se non c'è vittima": un cambiamento di rotta che alla luce della crisi del conservatorismo potrebbe (in un futuro molto poco prossimo) comportare un ammorbidimento del proibizionismo a tolleranza zero voluto dall'attuale legge Fini-Giovanardi. Ma anche qui, a guardar bene, bisogna ammettere che in Italia è il legislatore solo che deve provvedere, e con l'intellighenzia che ci ritroviamo, il gretto detto "chi vive sperando, muore cagando" è purtroppo una lampante realtà.

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