Italian Cannabis Cup

Fabrizio Dentini
04 Mar 2011

Sale forte un coro dalla riunione antiproibizionista tenutasi lo scorso gennaio presso il Forte Prenestino di Roma. Si tratta della voce risoluta dei frequentatori della IV edizione dell'Italian Cannabis Cup: manifestazione per appassionati storici, curiosi autodidatti e novelli amanti della pianta più discussa del pianeta: la dolce, dolcissima marijuana.


Sale forte un coro dalla riunione antiproibizionista tenutasi lo scorso gennaio presso il Forte Prenestino di Roma. Si tratta della voce risoluta dei frequentatori della IV edizione dell'Italian Cannabis Cup: manifestazione per appassionati storici, curiosi autodidatti e novelli amanti della pianta più discussa del pianeta: la dolce, dolcissima marijuana.

Contro Stato e narcomafie, autoproduci. Questo lo slogan che sintetizza e rivendica la libertà di consumare i frutti di questa pianta, fuori dalla repressione statale (dal sadico paternalismo) e fuori dal mercato nero del business del traffico e da quello che ci sta dietro. Cannabis che in Italia significa tante cose: cannabis terapeutica, cannabis e repressione sino all'omicidio di Stato che si vuol insabbiare, cannabis e tessuti, cannabis e bioedilizia. Un mondo da attraversare e scoprire: insomma, nel bene e nel male, sempre meglio un'informazione in più che una in meno.

Il vostro reporter allora vuol carpire meglio i diversi segreti di questo magico mondo e, non curante della densa e profumata nebbia che sale verso il soffitto, si addentra all'interno del Forte. Nonostante la compiacenza sia una brutta bestia, devo ammettere di compiacermi per quel che vedo. Da un lato, i corridoi affollatissimi di ragazzi e ragazze che si divertono e stanno insieme per gustarsi la serata (un gran bel formicaio di pischelli), dall'altro, la sala cinema stipata di persone coinvolte dai dibattiti e dagli interventi, lucidi e significativi, dei tanti invitati. C'è Alberto Sciolari dell'Associazione Pazienti Impazienti per la Cannabis (PIC), Patti Cirino, del Comitato Verità per Aldo Bianzino e poi ancora Stefano Coco, di Mondo Canapa, che racconta la cannabis nell'uso tessile e per finire, il grande Mefisto che illustra ad un pubblico emozionato le mille e una qualità della canapa.

E' inutile negarlo: in questo periodo di proibizionismo esasperato e persecuzioni gratuite, il consumatore medio di cannabis ha proprio bisogno di ascoltare qualcuno che racconti quel che succede e faccia il punto della situazione. E spesso si capisce che oltre il proprio piccolo orto succede uguale se non peggio. A questo servono gli esperti. A palesare i dubbi antiproibizionisti nell'assurdo paese in cui viviamo. Paese di esplicita caccia alle streghe dissuasa da becera propaganda.


Intanto, in un cantuccio, Filippo, di Filo d'erba, fra i promotori dell'evento e gestore di un negozio per growers, mi da qualche notizia sul festival:" Ebbene si, a pochi passi dal Vaticano e nel paese più proibizionista d'Europa c'è la Cannabis Cup. Quest'anno siamo arrivati alla quarta edizione di un evento al confine fra l'ambito sportivo e l'attivismo politico. C'è la parte romantico sportiva, cioè una competizione al di fuori delle logiche di mercato per premiare chi, grazie alla passione per questa pianta, riesce a creare la migliore varietà. E poi, ovviamente, c'è il lato politico, una sfida, una provocazione per rivendicare il diritto alla cura dei malati e il diritto di scegliere per se stessi di poter far quel che ci pare con la nostra pelle, alla faccia di uno stato repressivo che ci carcera per un grammo d'erba". Anche Stefano, del Forte Prenestino, prosegue sulla stessa linea: "Per noi è importante stabilire connessioni con i principali protagonisti della lotta antiproibizionista e cioè i produttori, i growers, che sono tutti i giorni in prima linea e rischiano in prima persona per creare quella contraddizione che un giorno potrà culminare con il cambiamento della legge. La situazione che viviamo deve essere evidente: ci sono i malati che ne hanno bisogno, ci sono una marea di consumatori che rivendicano la loro libertà e infine, i produttori, che non vogliono dare i loro soldi alle mafie e quindi restano in prima linea a rischiare. Questa realtà di fatto dovrebbe far porre molte domande a chi ci governa. L'uso delle droghe leggere deve essere separato da quelle pesanti. Sono cose diverse che vanno affrontate diversamente. Siamo tutta gente in regola, gente che paga le tasse, e quindi, anche se ci piace farci le canne, nessuno deve poter mettere bocca sul nostro diritto di scegliere come più preferiamo svagarci". 

La percezione che la propaganda di Stato sobilla è invece quella opposta: del drogato, del nullafacente, del disperato bisognoso di cure. E anche se niente è più lontano dalla realtà, è proprio questa percezione distorta che funziona inevitabilmente da sponda alle numerose operazioni di polizia. Operazioni, che a volte - per quelle che si vengono a sapere - finiscono nel più tragico dei modi, come conferma alla platea Patti Cirino, del Comitato verità per Aldo Bianzino.

La storia di Aldo infatti, potrebbe essere la storia di tutti i ragazzi italiani che sanno quel che significhi portare in cuore la ribellione, vivere uno stile di vita non omologato e non sentirsi per questo, dei criminali. Aldo viene arrestato per le piante che coltiva nel suo casolare di campagna. Dopo 48 ore è trovato morto nel carcere di Perugia. Per Aldo si muovono subito l'allora sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi e associazioni storiche nella difesa dei diritti umani e dei detenuti come Amnesty International e Antigone. Nonostante tutto, quel che successe quel giorno non ha ancora meritato un epilogo.

Patti ci aggiorna sulla situazione: "Nella Perugia in cui l'eroina costa 30 euro al grammo e 50 la cocaina, e nella città dove è recentemente morto Michele Massaro, un ragazzo di 23 anni, che ha appena allungato la lista dei morti di carcere, Aldo, muore nel 2007, a 44 anni. Aldo era un consumatore e un coltivatore. Sono 4 anni che cerchiamo di tenere viva la sua memoria. Ci siamo opposti per tre volte all'archiviazione del caso. Aldo è morto in carcere e vogliamo sapere come. E' stato bastonato prima di entrare in carcere? Che cosa gli è successo realmente?". La risposta non la conosce ancora nessuno. Patti prosegue: "Lo hanno trovato con 40 piante delle quali 20 maschie e gli hanno anche attribuito attività di spaccio perché hanno trovato 30 euro in cucina. Così lo hanno arrestato insieme a Roberta, sua moglie, facendoli salire su due macchine differenti per condurli al commissariato di Città di Castello. Aldo era nella seconda macchina che arriva 20 minuti dopo. Da questi 20 minuti nascono i nostri dubbi. Aldo rimane in carcere meno di 48 ore. Ma a Perugia dove la lobby comunista si affiata a quella massone trovare una soluzione o la volontà di fare luce è ancora molto difficile". E sembra proprio che la provincia dove tutti si conoscono sia pronta a coprire responsabilità in nome di comuni interessi e amicizie. La provincia che ammazza e insabbia. Tornando ai fatti, il PM Petrazzini ha un ruolo centrale nel caso: arresta Aldo, ne attesta il decesso e poi, sempre lui, affida l'indagine sulla morte alla polizia penitenziaria, la stessa che lo aveva in carico, decidendo poi per l'archiviazione. Petrazzini in provincia non si contraddice e Petrazzini ha detto: "Aldo è morto di morte naturale". Come tutti in carcere no? Comunque come racconta Patti: "Durante l'iter giudiziario sono state prodotte due perizie medico legali che confermano le parole di Petrazzini. A noi questo continua a non convincere e proseguiremo per capire veramente che successe in quel giorno. Anche perché ci sono alcune anomalie che non ci tornano". Pur in presenza di un'ipotesi di omicidio, infatti, la cella 20, dove Aldo è stato rivenuto, non venne né ispezionata né posta sotto sequestro; per la rianimazione il corpo di Aldo venne trasportato inspiegabilmente dalla cella al corridio. La finestra della cella era aperta, d' ottobre, ed Aldo, nudo, indossava una maglietta non sua. Ma soprattutto il giudice non pensò di fare accertamenti sui tabulati telefonici degli agenti di turno in quel giorno. Sembrerebbe abbastanza per non chiudere la partita. Sempre che nella Perugia della aule giudiziarie ci sia spazio ancora per uno scampolo di dignità.

E così, dai morti ammazzati per la fobia proibizionista il discorso passa ai malati mal curati per il medesimo motivo. E' il momento di ascoltare Alberto Sciolari, vice presidente del PIC, Pazienti Impazienti per la Cannabis, associazione che da anni si batte per la promozione della cannabis ad uso terapeutico e per raccontare le vicissitudini che soffrono queste persone, alle quali lo Stato nega di fatto il diritto alla cura: "Oggi come oggi posso stimare che solo il 3-4% di tutti quelli che ottengono il farmaco lo ricevono gratis tramite le ASL, mentre molti di più sono i malati che ne avrebbero bisogno ma non riescono ad accedere alla terapia neppure a pagamento. In più in questo momento le ASL vedono i propri fondi tagliati e quindi o riducono il quantitativo di farmaco fornito oppure è sempre più difficile che, anche chi lo faceva nei pochi rari casi, continui a distribuirlo gratuitamente. E stiamo parlando di malati. Attualmente con i farmaci disponibili il problema maggiore, oltre ai direttori degli ospedali, sono i medici, che non lo prescrivono per mancanza di informazione, per scarsa capacità di ascolto dei loro pazienti e per paura di ripercussioni sulla loro carriera professionale. Per il resto la possibilità ci sarebbe: la cannabis è talmente versatile che da anni in California fanno corsi di coltivazione per chi ne ha bisogno a scopi terapeutici. Se infatti la coltivazione non fosse illegale ognuno si potrebbe coltivare la qualità più adatta, invece il proibizionismo porta il mercato nero a ricercare qualità sempre più potenti, nonostante molti malati, per trattare spasmi muscolari o altri sintomi, preferiscano assumere quantità maggiori di cannabis ma contenenti basse concentrazioni di THC". 

Cannabis. Un pianta che ha del miracoloso, conosciuta ed apprezzata da secoli, rimossa e diprezzata da anni. Anche Stefano Coco di Mondo di Canapa ci racconta il suo rapporto con la cannabis nell'uso tessile: "La fibra di canapa è eterna, mentre il cotone dopo 60 anni si sfalda e in più porta con sé l'utilizzo del 30% dei pesticidi di tutto il pianeta. La canapa assorbe l'umidità del corpo e la trasmette all'esterno, è fresca e mantiene la temperatura del corpo. Oggi come oggi, però, il 90% del volume di canapa è cinese. Importata dalla Germania all'ingrosso un gomitolo costa 7 euro. Per questo motivo i prodotti di canapa sono cari perché la materia prima non è prodotta come potrebbe essere. E cioè in Italia, dagli italiani. Infatti credere nella canapa potrebbe dare la possibilità economica a tante piccole economie locali, anche perché la canapa potrebbe inserirsi tranquillamente in settori dell'agricoltura presso che abbandonati. Bisogna realizzare percorsi burocratici semplificati, incentivare la reintroduzione di questa coltura e soprattutto creare punti di trasformazione della pianta in fibra e quant'altro, che sono assolutamente fondamentali per avere non solo la possibilità, ma anche un costo adeguato per eventuali piccoli produttori. Infatti e' praticamente impossibile pensare di produrre fibra in modo autonomo mentre ad esempio è possibile ed economico acquistare una piccola pressa per farne pannelli per edilizia".

“In questo periodo, il consumatore medio di cannabis ha proprio bisogno di ascoltare qualcuno che faccia il punto della situazione

Ed eccoci alla Bioedilizia, di cui ci parla Mefisto con la determinazione di chi conosce l'importanza dell'argomento trattato: "Premetto: anche senza essere utilizzata a fini commerciali, la canapa ha grandi qualità nutritive per il terreno dove viene coltivata, lo area grazie alle radici e lo arricchisce grazie al potassio contenuto nelle foglie. Dopo un anno, un terreno coltivato a canapa è più alto di 10 cm perché la terra è più morbida. La canapa, crescendo più velocemente e alta delle altre erbe, funge da disserbante naturale in grado di estirpare le erbe infestanti, tutte, persino la gramigna non gli resiste. Una tonnellata di canapa imprigiona 325 kg di monossido di carbonio. La canapa, venendo al dunque, è idrorepellente, ignifuga, antisismica, inattaccabile dai topi, isolante termica e acustica ed eterna. Con un ettaro di canapa hai il materiale per farti una casa e ti rimane per scaldarla. Basandomi sulla mia esperienza personale (basata sulla produzione nei miei campi dell'antica varietà italiana famosa nel mondo, con la fibra più lunga, la "Carmagnola") posso dire che la produzione media di biomassa secca è di circa 3,5 tonnellate/ettaro, 35 se fresca. Ovviamente i quantitativi cambiano secondo le condizioni pedoclimatiche da luogo a luogo e sono condizionate anche dalla qualità del terreno. Ad esempio il mio è un terreno ottimale, sciolto, leggero e sabbioso ma soprattutto senza argilla. Per avere un'idea di quanto fosse utilizzata la canapa, Antonio Saltini ("Storia della canapa: dall'Ottocento al Novecento, tra cedimenti e riprese, fino al tracollo"), afferma che si ottenevano circa mille chili di fibra per ettaro. Secondo Carlo Berti Pinchat, che nelle proprie Istituzioni scientifiche e tecniche di agricoltura dedica alla canapa uno spazio preminente, tra la fine del Seicento e l'inizio dell'Ottocento le campagne bolognesi avrebbero prodotto, annualmente, volumi di fibra oscillanti tra le 3.000 e le 5.000 tonnellate. L'Unione Europea - conclude Mefisto - finanzia 520 euro per ogni ettaro coltivato a canapa". 

“C'è il lato politico, una sfida, una provocazione per rivendicare il diritto alla cura dei malati e il diritto di scegliere per se stessi di poter far quel che ci pare con la nostra pelle

Mi tocco, mi pizzico, ho sentito bene? L'Unione Europea finanzia gli ettari coltivati a canapa? E che stiamo aspettando a seminare canapa in tutto il terreno incolto della nostra sempre più triste e avariata Italia? Quello ancora salvo dal cemento ovviamente...

Scosso e incredulo. Tante, tante le informazione raccolte su questa magica pianta. Abbandono il Forte Prenestino pensando fra me stesso che davvero sarebbe possibile: "In uno scenario differente la canapa potrebbe veramente tornare ad essere uno degli assi portanti dell'economia nostrana, un capitolo, che se esplorato con il dovuto senso di causa, potrebbe, filato dopo filato, smarcarci dalla dipendenza da tanti derivati del petrolio, e poi, da una parte, contribuire a rivoluzionare il mondo delle costruzioni e la sostenibilità delle città dell'Italia futura, mattone dopo mattone, mentre dall'altra permettere a chi ne necessita per curarsi, una terapia più consona alle proprie esigenze. Per far questo, serve solo la voglia di scalzare una mentalità che ci sta portando a fondo, sempre più sotto, sotto ogni limite di rispetto fra il cittadino e chi lo rappresenta, fra chi lavora e produce e autoproduce e chi succhia come parassita dal sangue del prossimo. Sempre gli stessi da entrambi i lati".

 

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Fabrizio Dentini